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Carioti: il problema dei clandestini è europeo, la soluzione spetta agli stati nazionali

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Fausto Carioti 12 novembre 2024

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C’è un elemento di realtà del quale chiunque governi un Paese europeo deve prendere atto, e prima lo fa e meglio è: il conflitto con la magistratura in materia di politica dell’immigrazione non è un problema solo italiano. È vero, sinora gli unici giudici che hanno usato la normativa europea e la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre per scardinare la politica nazionale dell’immigrazione sono quelli di casa nostra. È andata così per ragioni geografiche e “attitudine” dei magistrati: la sezione immigrazione del tribunale di Palermo, prima a invocare quella sentenza, si è mossa il 10 ottobre, rifiutandosi di convalidare i provvedimenti di trattenimento emessi dal questore di Agrigento per cinque tunisini. In meno di una settimana, una sentenza europea scritta in francese e riguardante la Repubblica Ceca e un cittadino della Moldavia è stata letta, interpretata e adattata alla situazione nazionale da un tribunale italiano, a conferma che certe volte (ma solo in certe) la giustizia nostrana riesce a correre velocissima.

Ma, appunto, la scintilla che ha dato il via all’incendio è scoccata in Lussemburgo, non in Italia, ad opera di magistrati il cui compito è garantire che il diritto dell’Unione sia interpretato e applicato in modo uniforme in tutti gli Stati membri. Significa che quello che vale per l’Italia vale anche per gli altri ventisei parlamenti e governi. Forse i magistrati italiani hanno interpretato male, con le lenti dell’ideologia, la sentenza della Corte Ue. Si saprà solo tra molti mesi, quando lo stesso organismo, che ha tempi lunghi, deciderà sui ricorsi che gli stanno inviando i nostri tribunali. Oppure – e non è affatto da escludere – il problema vero è proprio lì, al piano superiore: le toghe europee hanno davvero stabilito che possono essere considerati sicuri, per i rimpatri degli immigrati irregolari, unicamente i Paesi extracomunitari nei quali non solo non esistono torture e altre violazioni conclamate dei diritti umani, ma nemmeno discriminazioni di qualsiasi tipo ai danni delle donne, o degli omosessuali, odi una minoranza etnica, politica o religiosa, nulla del genere neanche in una piccola porzione del territorio. Quelle toghe, insomma, forse hanno deciso che gli unici Stati in cui un migrante irregolare può essere rimpatriato sono quelli occidentali, gli unici dai quali non emigra nessuno.
In ogni caso, nessun governo europeo ha interesse ad attendere.

Né il verdetto della Corte Ue, che arriverà tra molti mesi e potrebbe confermare la linea adottata dai tribunali italiani che si sono rifiutati di applicare il decreto sui Paesi sicuri, e allora sarebbero dolori per tutti. Né il giugno del 2026, quando è previsto che nell’Unione entri in vigore il regolamento che renderà uniformi i criteri di individuazione di quei Paesi (oggi non esiste un elenco condiviso, ognuno dei Ventisette si regola a modo proprio, interpretando i criteri fissati dalle direttive di Bruxelles). Da qui ad allora, infatti, l’incendio si sarà già allargato agli altri Stati dell’Unione. I giudici italiani saranno pure i più veloci a cogliere certi assist, ma non sono gli unici. Il primato del diritto comunitario su quello nazionale non riguarda solo l’Italia, ma tutti gli Stati Ue, e il dogma per cui le interpretazioni della Corte europea possono avere effetto diretto negli ordinamenti nazionali, rendendo non applicabile il diritto interno, può generare mostri ovunque, non solo qui.


Anche rivolgersi alle Corti nazionali, come il governo italiano potrebbe fare con la Corte Costituzionale, chiamandola a giudicare su un possibile conflitto tra poteri, potrebbe rivelarsi una pessima idea, e ritorcersi contro chi ha ricevuto il mandato dagli elettori. La strada maestra è un’altra, ed è probabilmente anche l’unica efficace. Passa per i governi nazionali, che hanno ideologie diverse, ma un interesse in comune: non farsi scavalcare, su temi di assoluta rilevanza politica come la gestione dell’immigrazione (e la sicurezza che da essa dipende) e i rapporti con gli Stati terzi, dalla magistratura, sia essa comunitaria o nazionale. E l’iniziativa non può che partire dal Consiglio Ue, il luogo nel quale i leader e i ministri dei singoli governi si riuniscono per coordinare le loro politiche. Prima di essere una questione di difesa della sovranità nazionale è una questione di difesa della politica, e delle prerogative di chi deve rendere conto agli elettori di ciò che fa, dall’invasione di chi non ha questa responsabilità, ma solo quella di applicare le leggi che gli altri hanno scritto. 

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