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Cina all'assalto dell'Europa dell'auto: la storia si ripete, lo hanno già fatto americani, giapponesi e coreani

5 mesi fa 4
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Il mondo corre. Cambia velocemente. E, per restare competitivi, bisogna adeguarsi in fretta. Anche, e soprattutto, nel settore automotive che, negli ultimi dieci anni, ha visto l’ingresso di una nuova industria spinta da un gigantesco mercato. Il più grande del pianeta, in grado di alimentare il business dei dinamici costruttori locali. Forse è una storia già vista. Quando c’è un ingresso di rilievo in un comparto si genera inevitabilmente qualche spiffero. L’auto è nata in Europa, non c’è dubbio. Francesi e tedeschi, come spesso avviene, ne rivendicano la paternità senza peraltro giungere ad un approdo comune. Sia come sia, già da subito le vetture del Vecchio Continente hanno subito gli assalti dei rivali provenienti da altri continenti.

Prima da Occidente, poi, dopo le grandi guerre, soprattutto da Oriente. I primi a rompere le uova nel paniere furono gli americani. Ford e General Motors sfruttarono l’esuberante apparato industriale a stelle e strisce per proporre veicoli diversi, magari dal prezzo più aggressivo. Già negli anni Venti gli yankee pompavano le loro catene di montaggio capaci di sfornare (vedi Ford T) quantità di produzione imbarazzanti. I costruttori europei, in realtà, si sono solo parzialmente adeguati. Restando però fedeli ai propri valori che gli hanno consentito di restare a galla, anche con buoni risultati economici: prestigio, tradizione, artigianalità, tecnologia, prestazioni. Non dobbiamo dimenticare che, alla fine del millennio, era la nostra industria la più ambita in assoluto, con l’export molto superiore alle importazioni.

Tutte le vetture premium, quelle che generano più fatturato, erano made in Europe o almeno realizzate da casa europee. Lo schema dell’invasione è sempre stato lo stesso: prima la sfida, poi la produzione sul posto, infine, spesso, la ritirata. I cow boy che sono arrivati per primi hanno concluso il ciclo e, recentemente abbiamo assistito al disimpegno totale della GM e, parziale, della Ford. Placate le acque atlantiche (ora c’è un accenno di ritorno con Tesla), c’è stata l’ondata pacifica, prima con il Sol Levante, in seguito con le tigri coreane. Stesso approccio, risultati simili, il resto si vedrà. Ora lo schema si propone ancora in una dimensione nuova che appare all’ennesima potenza. Non succedeva da almeno un secolo che il nostro appetibile mercato non venisse attaccato da chi ha l’industria del settore più potente del globo. E, per giunta, nata da molto poco, quindi giovane e forte.

I costruttori di casa nostra, appaiono molto poco preoccupati ed hanno tessuto la tela in anticipo, alleandosi con le formule più originali con i costruttori cinesi. Prima per presidiare il loro appetibile mercato, poi per cercare di gestire il loro sbarco da noi. Insomma, sono pochi i cinesi che vanno allo sbaraglio, quasi tutti coperti dall’amicizia delle casa europee. Già ora sono numerosi i modelli di estrazione europea che vengono prodotti esclusivamente in Cina. È vero, gran parte di essi sono elettrici, ma solo perché l’UE ha puntato per prima su questa motorizzazione e le casa locali stanno cercando di anticipare la legislazione. Che i cinesi siano in grado di fare la differenza anche con i motori termici è dimostrato dalla MG controllata da Saic che quest’anno dovrebbe vendere oltre 50 mila vetture in Italia (il 3%) con una quota di emissioni zero inferiore a quella già irrisoria delle consegne totali.

Quindi, più che combatterli, serve allearsi con loro per prendere il meglio della valida tecnologia che hanno, portando vantaggi di costi anche ai nostri clienti senza venir esclusi dal business. Le nostre aziende con il tempo hanno progressivamente abbandonato il settore delle vetture piccole perché non remunerativo, col risultato che sono merce rara i modelli piccoli per le nostre città ed economici che certo non guasta, soprattutto in Italia. Vetture che invece dalle parti di Pechino sono numerose, valide, disponibili ed accessibili. Descrivere gli intrecci che ci sono sulla Via della seta per l’automotive sarebbe decisamente troppo lungo. È invece il caso di ricordare l’annuncio fatto la settimana scorsa che porterà risultati concreti già dopo l’estate.

Da tempo Stellantis cercava un nuovo partner cinese anche per le attività in loco ed è entrata in contatto con Leapmotor, una start-up fondata da Jiangming Zhu solo nel 2016. L’azienda si è velocemente sviluppata sulla mobilità elettrica e l’intelligenza artificiale, sviluppando alcune piattaforme molto valide dai costi interessanti. Carlos Tavares ceo di Stellantis prima ha dato fiducia a Jiangming Zhu entrando con un miliardo e mezzo di euro nel capitale nel gruppo di Hangzhou. Quindi ha fondato in alleanza con gli orientali una joint venture, la Leapmotor International B.V., controllata al 51% dalla multinazionale transatlantica e al 49% da quella dell’ex Celeste Impero, per vendere ed, eventualmente produrre, vetture fuori dalla Cina.

Guidata dalla sede di Amsterdam del ceo Tianshu Xin, ex top manager di Stellantis China, la Leapmotor International ha annunciato di aver ricevuto tutte le autorizzazioni per operare ed inizierà a farlo il prossimo settembre, partendo con 200 punti vendita in nove paesi europei (Francia, Italia, Germania, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo, Belgio, Grecia e Romania). Diventeranno 500 entro il 2026 con il coinvolgimento di tutta l’Unione e poi del Medio Oriente, dell’Africa, dell’Asia-Pacifico (esclusa la Cina ovviamente) e del Sudamerica. Una sfida che vedrà in campo l’enorme esperienza commerciale di Stellantis, generando fatturato e posti di lavoro. All’inizio due i modelli in listino, entrambi full electric, la citycar T03 (265 km di autonomia) ed il Suv di classe media C10, 5 stelle EuroNCAP e 420 km senza rifornire. Poi almeno un modello nuovo l’anno.

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