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Conte: “Leone XIV sarà un Papa scomodo, come Bergoglio. Farà sfigurare gli eccessi di Trump”

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ROMA. Partiamo da qui con Giuseppe Conte. Dalla grande lezione della Chiesa come capacità di leggere il mondo e dare un orizzonte. Anche gli autocrati ce l’hanno, di segno opposto come ci suggerisce la foto di giornata della parata di Putin con Xi. E le democrazie? «Arrancano, mentre i sistemi autocratici sono più efficienti anche perché meglio attrezzati coi loro apparati di controllo. E poi c’è la Chiesa, che, grazie alla forza di una tradizione plurimillenaria, è l’unico ordinamento a vocazione transnazionale. La svolta sinodale impressa da papa Francesco l’ha aperta ancor di più alla partecipazione e alla contemporaneità».

Possiamo dire che Robert Prevost è una scelta di mediazione e tuttavia di grande impatto politico? Non è un papa di transizione.

«Sicuramente avrà un grosso impatto politico, ma in senso lato, perché il profilo di Papa Leone XIV sembra confermare la vocazione universalistica e pluricentrica della Chiesa, la sua capacità di interpretare i segni dei tempi cogliendo le istanze delle tante periferie in cui si annidano miseria, sofferenza, angoscia».

Il tema è il rapporto continuità-discontinuità con Bergoglio. Un mix, sin dalla biografia: un Papa americano, sia pur con vocazione universalistica. Condivide?

«Non lo inquadrerei come un Papa americano tout court. Gli anni missionari nelle diocesi povere del Perù credo gli abbiano garantito “l’odore delle pecore” e la propensione a stare “in mezzo al gregge”, non rinserrato nei palazzi apostolici. Le sfide per la Chiesa e il mondo sono tantissime».

Non è un Papa del Global South che sarebbe stata la vera continuità, anzi è stato scelto anche per una discontinuità nei rapporti con la Cina.

«Il lungo apostolato peruviano, i mandati come superiore degli agostiniani, il suo incarico al Dicastero dei vescovi immagino lo abbiano ben preparato alla visione universale della Chiesa o per dirla con linguaggio laico: multipolare».

Nella sua elezione influisce il sostegno dei conservatori contrari all’accordo con la Cina di Pietro Parolin. Come cambiano i rapporti con Pechino?

«Se guardiamo alle persecuzioni del passato nei confronti dei cattolici sarebbe miope negare la svolta impressa con l’accordo del 2018 ai rapporti tra la Chiesa Cattolica e il governo cinese».

Faccio una sintesi. Si va «con Francesco oltre Francesco»: continuità sulla pace, più dottrina, e un recupero del ruolo dell’Occidente. È d’accordo?

«In un mondo lacerato da guerre, competizioni economiche e fondamentalismi, frammentato da ingiustizie e diseguaglianze, la parola “pace” che è risuonata più volte nel suo primo discorso, non è neutra. Su di essa si misurerà primariamente il ruolo della Chiesa nel mondo: costruire ponti, avvicinare i popoli in conflitto con l’ascolto e il dialogo, per dirla con Papa Francesco: “disarmare le parole, le menti, la terra”».

Da oggi Trump e Vance non possono più arruolare Dio a sostegno delle loro politiche, magari citando Sant’Agostino.

«Sant’Agostino non offre un pensiero prêt-à-porter, da citare in base alle convenienze. Leone XIV ha già mostrato rigore dottrinale, chiarendo in occasione della prima messa che Gesù, per la dottrina cattolica, non è un leader o un superuomo».

Pensa che Leone XIV stia a Trump come Giovanni Paolo II stava al Cremlino?

«Penso che saprà farsi sentire e parlare con logiche che non sono proprie di nessuna fazione politica e mi auguro che sarà anche lui “scomodo”, a suo modo, come lo è stato Bergoglio. Sono certo che diventerà un grande punto di riferimento spirituale e morale anche negli Stati Uniti e che la sua solida figura farà sfigurare le intemperanze non solo di Trump ma di tutti i politici che, negli Usa, in Italia e dappertutto, fingono di risolvere i problemi a colpi di annunci e di azioni dimostrative».

Leone XIII, a proposito della scelta del nome, era il papa della Rerum novarum. Un messaggio che parla al mondo di oggi?

«Va contestualizzata, però quell’enciclica rimane fondativa della dottrina sociale della Chiesa e contiene ancora questioni inattuate: penso, ad esempio, al concetto di “giusto salario”, poi trapassato nella nostra Costituzione, che questa maggioranza di governo non accetta ritenendo normale essere sfruttati per 4/5 euro all’ora».

Pensa che questo sarà il “cuore sociale” del Pontificato? Una terza via tra turbo-capitalismo e visione conflittuale capitale-lavoro.

«I suoi anni in Perù, a contatto con Gutiérrez, e la teologia della liberazione mi fanno pensare che il tema della giustizia sociale e della lotta alle diseguaglianze sarà al centro del suo pontificato: un capitalismo finanziario che uccide l’economia reale e accumula sempre più potere e ricchezza, la contemporanea “corsa all’oro” che si è scatenata intorno alle terre rare, il ruolo della nuove tecnologie che sopravanzano anche le decisioni politiche, lo scarso pluralismo e la bassa qualità dell’informazione infestata da fake-news e servilismi vari, la tirannia dei padroni delle reti digitali che orientano e sorvegliano la nostra vita».

La Chiesa di Bergoglio è stata una grande testimonianza morale di pace. Meno ininfluente come percorsi, sia in Ucraina che in Medioriente. Un Papa più “occidentale” può creare più ponti?

«A papa Francesco, a causa della malattia, sono mancate le forze, il vigore dell’azione, non la chiarezza della visione. In questo credo che Leone XIV partirà avvantaggiato, facendo risuonare le sue parole di speranza, accompagnate dalla diretta testimonianza».

Come cambierà la politica su Ucraina e Medioriente?

«Oggi credo che la Chiesa, con la sua rete diplomatica e le sue riconosciute qualità di saggezza, possa essere il più grande promotore di pace e di negoziati al mondo. Questo compito dovrebbe svolgerlo, laicamente, l’Onu, che però versa da anni in grave crisi senza che ci sia la volontà politica di riformarla e rilanciarla. Manca questa volontà anche nell’area europea, dove la Francia potrebbe iniziare a dare il buon esempio mettendo il suo posto di membro permanente del Consiglio di sicurezza a disposizione, a rotazione, degli altri membri dell’Unione europea».

Un certo recupero della tradizione è annunciato. Cosa significa essere agostiniano?

«Non rappresenterei Sant’Agostino come l’alfiere della tradizione. Se consideriamo la sua vita tormentata, la modernità delle sue “confessioni” e il valore attribuito alla coscienza, luogo interiore della verità».

Se dovesse fare un titolo sulla lezione per la politica?

«Ritrovare valori e “pensieri lunghi”. Nel 1935 Hazard ragionò sulla Crisi della coscienza europea per descrivere il passaggio dall’Europa dei doveri all’Europa dei diritti. Oggi viviamo una crisi altrettanto forte della coscienza europea, ma per ragioni diverse, perché i diritti e i valori su cui abbiamo edificato le nostre certezze, di cui ci siamo sempre vantati, stanno affogando in un mare di ipocrisia».

Sta dicendo di riscoprire le “radici cristiane”?

«Mi accontenterei della fine dell’ipocrisia. Ipocrisia dei nostri governanti che parlano di pace ma non compiono alcuno sforzo per costruirla. Ipocrisia di chi finge di volere la sicurezza ma persegue il riarmo dei singoli Stati. Ipocrisia di chi invoca i valori di libertà e poi lascia che un intero popolo palestinese venga affamato e sterminato dalle bombe del governo “amico” di Netanyahu. Ipocrisia di chi invoca la legalità internazionale e offre salvacondotti a criminali libici accusati dei peggiori crimini contro l’umanità».

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