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Diabolik, colpo di scena a processo: «Calderon non esiste». L'uomo accusato dell'omicidio ha un altro nome

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È lui ma non è lui. Siamo nell’aula bunker di Rebibbia, ma – per venti minuti – è come se si venisse trasportati direttamente dentro una sceneggiatura dal sapore kafkiano, o del teatro dell’assurdo. La campanella suona pochi minuti prima delle dieci del mattino, inizia una nuova udienza del processo in Corte d’Assise a carico di Raul Esteban Calderon, l’argentino accusato di aver ucciso il 7 agosto 2019 il capo ultrà della Lazio e narcotrafficante Fabrizio Piscitelli. Ma Calderon non è lui. O meglio è lui, lo stesso che secondo le indagini della Squadra Mobile ha esploso quell’unico colpo mortale camuffato da runner, ma la sua identità è un’altra.

Il pubblico ministero della Dda Mario Palazzi prende la parola ed esordisce: «Raul Esteban Calderon non esiste, il nome che ha speso è falso. Usato evidentemente in Italia per le sue attività criminose».

LA ROGATORIA

La conferma è arrivata da una rogatoria internazionale chiesta dalla Procura a cui l’Argentina ha risposto indicando la vera identità dell’uomo che, stando all’accusa, ben cinque anni fa uccise Diabolik al parco degli Acquedotti. Calderon è lui ma non è lui: il suo vero nome è «Aleandro Gustavo Musumeci, nato a Buenos Aires il 30 aprile 1970». «Già in Argentina Musumeci - ha concluso Palazzi - era solito usare altri nominativi». Dubbi sulla sua vera identità erano emersi già nelle fasi del fermo e poi dell’arresto, convalidato nel dicembre 2021. E pure in alcune delle precedenti udienze del processo in base a quanto riferito dall’ex compagna e oggi collaboratrice di giustizia, Rina Bussone, il nome Calderon era un artificio. Un’identità costruita ad hoc. La donna riferì in aula di aver sentito che l’uomo veniva chiamato «Gustavo» durante alcune telefonate con i parenti in Argentina. E anche l’audizione di alcuni investigatori portano alla luce quest’evidenza. Questo nuovo elemento, per la difesa rappresentata dall’avvocato Eleonora Nicla Moiraghi, non può essere “elevato” a «rivelazione» proprio perché «era un dato sul quale avevano riferito oltre alla Bussone anche gli investigatori nel corso del processo in Corte d’Assise a Frosinone», dove Calderon-Musumeci è impuntato per l’omicidio di Selavdi Shehaj freddato sulla spiaggia di Torvaianica il 20 settembre 2020. Un altro caso questo che intreccia nomi e dinamiche dentro lo scacchiere della criminalità romana ma che, in base alle prime risultanze processuali, non sarebbe legato all’omicidio di Piscitelli. Originariamente si pensava che il delitto di Torvaianica fosse la “risposta” all’azione di vendetta con cui il gruppo del Diablo provò a uccidere Leandro Bennato nel novembre del 2019. Più probabile invece che l’omicidio di Shehaj sia da ricondurre a dissidi fra gruppi di albanesi in materia di stupefacenti. «Ora la risposta alla rogatoria sarà oggetto di osservazioni critiche da parte della difesa - conclude la Moiraghi - perché non ci pare siano state risolte le criticità già emerse».

IL PERSONAGGIO

Il dato certo, comunque, è quello per cui l’identità del presunto killer di Piscitelli sia stata definita a cinque anni dal delitto. Ieri intanto in aula si aspettava anche un altro personaggio finito nell’inchiesta ma poi scomparso come una “meteora”. La difesa aveva chiamato a deporre Fabio Gaudenzi, un altro ultrà (romanista), che pochi mesi dopo l’omicidio di Piscitelli si fece immortalare, con passamontagna e pistola stretta in mano, in un video in cui diceva di sapere i nomi di chi aveva orchestrato e poi eseguito il delitto.

Gaudenzi richiamò anche un contrabbando d’oro fra l’Africa e l’Europa che avrebbe interessato Piscitelli ma che poi fu sconfessato dalle indagini. L’uomo finito in carcere e tornato poi libero è irreperibile. Neanche i familiari stretti sanno dove si trovi. La Corte aveva disposto da ultimo l’accompagnamento coatto ma Gaudenzi è sparito (altro mistero) nel nulla.

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