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«Le dimissioni di un Papa, di qualsiasi Papa, a mio parere non possono essere considerate una opzione. Dalla Croce non si scende, esattamente come indicano le scritture». Da un chilometrico scaffale carico di libri, il cardinale teologo Gerhard Muller estrae un volume rosso, un Vangelo, lo apre, indicando un passo.
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In questi giorni che circolano ipotesi di dimissioni e fioriscono le voci malevole di morte (anche ieri sono circolate altre fake news sulla salute di Francesco a dispetto delle rassicurazioni dei medici del Gemelli) lei che viene annoverato tra i conservatori più critici di questo pontificato, cosa ne pensa?
«Non finirò mai di ripeterlo, la Chiesa in questo momento storico ha bisogno di unità al suo interno. E anche stamattina (ieri mattina ndr) ho pregato nella mia cappella per il Papa e per la sua salute. Provo dispiacere davanti a quello che accade. Noi credenti dobbiamo vivere nella piena comunione con la Chiesa di Roma, il cui vescovo è il Papa, simbolo perenne di unità, principio permanente della verità rivelata. È il successore di San Pietro, l'apostolo che ha sofferto qui, a Roma, e sotto Nerone ha trovato il martirio».
Perché prima citava il Vangelo di Giovanni?
«È su lago di Tiberiade che Cristo ha scelto Pietro come pastore universale della Chiesa. E' tutto lì, in quel “seguimi”. Pietro ha pagato, con il martirio, la propria vita. E Gesù gli ha detto chiaramente che la scelta lo avrebbe portato dove non avrebbe voluto. La malattia e la morte per noi cristiani resta una configurazione con Cristo morto sulla croce e resuscitato donandoci la vita eterna. Le parole rivolte a Pietro valgono ovviamente per tutti i suoi successori. Significa che dalla Croce non si scende, nemmeno perchè ci si è stancati: il Papa deve essere il primo a testimoniare che dopo la morte esiste la resurrezione in una sequela che offre speranza».
Quindi non ci dovrebbe essere l'istituto delle dimissioni...
«È contemplato dal diritto canonico solo in casi particolari e gravissimi, per esempio impedimenti cognitivi o per apostasia. Per i pontefici non dovrebbero valere i criteri dei leader politici o militari che ad un certo momento se ne vanno in pensione. Nella Chiesa non vedo spazio per il funzionalismo ma solo per la testimonianza».
Quindi Benedetto XVI, di cui lei è il curatore della sterminata opera omnia e di cui è stato suo collaboratore, ha sbagliato?
«L'ho ripetuto pubblicamente decine di volte: non ho mai capito per quale motivo abbia compiuto quel passo. Io non vedo radici teologiche per introdurre il criterio del funzionalismo nella Chiesa. Sono scettico a qualsiasi rinuncia papale solo perché uno si sente sfinito e non ce la fa più. Ciò lede quel principio dell'unità visibile della Chiesa incarnato nella figura del Papa. Ecco perchè la rinuncia non può diventare una cosa normale, come andare in pensione in una azienda».
Eppure il diritto Canonico prevede questo passaggio...
«In casi particolari. Per esempio se un Papa dovesse soffrire di Alzheimer. Ma non quando ci sono malattie fisiche che non compromettono affatto le facoltà cognitive. Papa Francesco ha una polmonite bilaterale che fortunatamente sta curando in un ottimo ospedale, per il resto non ha compromessa nessuna delle sue facoltà intellettuali. Parlare di dimissioni è assurdo. E poi in questa sua degenza penso che possa dare un esempio al mondo intero, a chi soffre, ai malati, ai moribondi, a chi ha paura della morte. La testimonianza è preziosissima».
Secondo lei perché la gente ha così tanta paura di morire?
«La causa è il neo paganesimo. Si ritiene che non vi sia alcuna speranza dopo la morte. Mi viene in mente San Paolo nella lettera ai Corinzi: “Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Efeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo”».
Perché circolano in questo periodo così tante fake news su Francesco?
«Non saprei, forse per sensazionalismo e magari ci sono pure coloro che pensano al papato politicamente, senza tener conto che quando si augura al prossimo del male si fa un peccato mortale. Dio solo può decidere quale sarà la fine della nostra esistenza terrena. Anche qui esiste un passo evangelico, Luca: “Padre consegno nelle tue mani il mio spirito”».
Cosa si immagina per il futuro della Chiesa?
«Unità, spero solo nell'unità».
Ieri era la festa della Cattedra di San Pietro...
«24 anni fa l'arcivescovo Bergoglio veniva nominato cardinale da Giovanni Paolo II, mentre io undici anni fa venivo creato cardinale da Papa Francesco. Ho lavorato con lui cinque anni alla Dottrina della Fede. Abbiamo avuto un rapporto dialettico, su tanti temi abbiamo approcci diversi ma restano i rapporti personali e la lealtà che sempre si deve sempre al Successore di Pietro».
Torniamo ancora sulla rinuncia: visto che mediamente la vita umana si è allungata di parecchio: proprio non è pensabile, dal punto di vista teologico, immaginare una soglia di età pure per i Papi. Un po' come accade per i vescovi che vanno in pensione a 75 anni o i cardinali che smettono di essere elettori a 80 anni?
«Nel caso del Vescovo di Roma no. Qualora non avesse più le forze fisiche può contare sempre sui collaboratori di curia e sui cardinali che sono i primi rappresentanti interpellati ad aiutarlo qualora non fosse più in grado di fare alcune cose, la messa a San Pietro, viaggiare eccetera».
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