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Mario Sechi 23 febbraio 2025
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Il pontificato di Francesco si compie in un periodo storico di straordinaria accelerazione e intensità, è un tempo complesso e compresso, dove il vecchio ordine, nato dopo la Seconda guerra mondiale, è in declino, mentre nella crisi ancora non si vede un nuovo disegno. Ne scorgiamo le ombre: una nuova America con il secondo mandato di Donald Trump; la cura di Javier Milei sull’Argentina; la leadership forte di Giorgia Meloni in Italia; una Germania che, comunque vadano oggi le elezioni, sarà orientata più a destra; la comparsa di tecnologie che provocheranno un balzo nella conoscenza, strumenti che innescheranno lotte di potere mai viste.
La sofferenza di Bergoglio, la sua parabola cominciata il 13 marzo del 2013, ci ricorda che il dettaglio in cronaca di ogni Papa è destinato a diventare storia, lasciare in archivio una cassetta degli attrezzi, parole, segni, errori e felici intuizioni. Quando Francesco nel 2014 usò per la prima volta la frase «terza guerra mondiale a pezzi», illuminò il filo rosso dei conflitti, la loro tendenza a moltiplicarsi e saldarsi. Undici anni dopo, siamo davanti a un puzzle fiammeggiante. Francesco lo aveva (pre)visto. Un altro Papa, Giovanni Paolo II, fu testimone e architetto di un passaggio chiave del Novecento: la fine del comunismo, il dissolvimento della «Cortina di Ferro», l’avvio della terza ondata di democratizzazione. Ieri, oggi, domani. La storia ama sempre tornare sul palcoscenico dove ha stupito il pubblico, si presenta in nuove forme ma antiche lezioni, la sofferenza dei Papi è un memento sul declino del corpo, un avviso a non sprecare l’elemento più sottovalutato quando si è incoscienti: il tempo.