A 29 anni di distanza il cold case di Nada Cella, la giovane segretaria uccisa a Chiavari (Genova) il 6 maggio 1996, arriva in un'aula di tribunale. Un processo indiziario le cui indagini hanno avuto non poche difficoltà, prima tra tutte un muro di "reticenza al limite dell'omertà".
A processo ci sono Anna Lucia Cecere, ex insegnante che ora vive a Boves in Piemonte, ritenuta dall'accusa la "rivale" che massacrò quella mattina la ragazza. E poi il commercialista Marco Soracco, datore di lavoro di Nada, e l'anziana madre Marisa Bacchioni. Questi ultimi due erano accusati di favoreggiamento e false dichiarazioni al pm, ma il presidente della corte Massimo Cusatti ha "congelato" l'ultima accusa in attesa della sentenza sulle eventuale responsabilità della imputata principale.
"Affronto con serenità il processo nonostante 29 anni di illazioni", ha detto Soracco, unico imputato presente in aula. A inizio udienza il difensore del commercialista, l'avvocato Andrea Vernazza, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale che è stata rigettata.
Il dibattimento è iniziato con la testimonianza del capo della squadra mobile di Genova nel periodo della riapertura delle indagini nel 2021. Il dirigente Stefano Signoretti ha spiegato cosa è stato fatto. "Nel corso delle indagini è emersa una cosa molto chiara e cioè la difficoltà, in questo caso direi abnorme, di acquisire le informazioni. Abbiamo incontrato persone reticenti, direi che si è sfiorata l'omertà. Per questo abbiamo intercettato il 99 per cento dei testimoni sentiti".
L'approccio alle nuove indagini è stato a tutto campo "come se l'omicidio fosse avvenuto il giorno prima". Il caso era stato riaperto grazie alla tenacia della famiglia (assistita dalle avvocate Sabrina Franzone e Laura Razetto) e della criminologa Antonella Pesce Delfino. Per la pm Gabriella Dotto, Cecere era gelosa di Nada e voleva prendere il suo posto. Fu "un omicidio di impeto".
Il nome della ex insegnante Anna Lucia Cecere (difesa dagli avvocati Giovanni Roffo e Gabriella Martini) era già emerso all'epoca del delitto. I carabinieri avevano ricevuto alcune segnalazioni e avevano trovato i bottoni compatibili con quello trovato sotto il cadavere. Anche la polizia aveva "sfiorato quella che oggi è l'imputata - ha spiegato Signoretti - ma dopo soli cinque giorni il pubblico ministero Gebbia chiese l'archiviazione. Non risulta che il pm abbia informato la polizia (all'epoca titolare dell'indagine, ndr) di quanto raccolto dai carabinieri e della decisione di archiviare".
Resta il nodo delle intercettazioni, tra le quali anche una tra Soracco e il suo difensore dell'epoca. I due commentano un articolo di giornale in cui si parlava di una donna misteriosa come possibile assassina e il commercialista dice che secondo lui sarebbe la Cecere che era stata diverse volte in studio.
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