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Per Duccio Dini non c'è ancora giustizia. Per la Corte di Cassazione le responsabilità legate alla morte del ventinovenne fiorentino dovranno essere accertate da un nuovo processo d'appello, il terzo in pochi anni. Il giovane fu investito e ucciso la mattina del 10 giugno del 2018 mentre andava al lavoro. A impattare con lui, a fortissima velocità, fu una macchina coinvolta come ricostruito dalle indagini - in un raid punitivo organizzato tra clan di rom. Ieri il processo, in terzo grado di giudizio, ha visto annullare la condanne a 22 anni di reclusione che erano state inflitta a Amet Kjamuran, Amet Remzi, Mustafa Dehran e Antonio Mustafa: tutti attualmente in carcere, tutti coinvolti nell'inseguimento e accusati di omicidio. Serve per la giustizia un ricalcolo delle loro pene, in base alle responsabilità dirette che ciascuno ha nella vicenda e ai cambiamenti della norma.
LA RICOSTRUZIONE
Il regolamento di conti tra clan era stato scatenato, come ricostruito dai magistrati, dal giuramento di fedeltà che Rufat Bayram impose alla moglie e che causò una discussione con suo suocero Amet Remzi. I due si picchiano in maniera violenta e successivamente si scatenò un inseguimento fra i due rami della famiglia che coinvolse tre auto e un furgone. E che ebbe tragico epilogo la morte di Duccio Dini. Il ragazzo, totalmente estraneo ai fatti appena raccontati, era fermo sul suo motorino al semaforo di via Canova, alla prima periferia di Firenze, quando fu investito e sbalzato via dalla strada da una Volvo guidata degli inseguitori di Bayram.
Le perizie - che hanno potuto contare anche su alcune immagini di telecamere a circuito chiuso - hanno stabilito che l'auto andava a più di 100 chilometri orari. Le persone coinvolte nell'inseguimento facevano tutte parte delle famiglie di etnia rom che vivevano nel cosiddetto "campo del Poderaccio". Nelle immediatezze dei fatti la vicenda suscitò un vero clima di shock in città, comprensibile per la gravità dell'episodio e la portata della tragedia. Purtroppo, in questa dinamica, si registrò anche un pericoloso clima d'insofferenza contro una comunità intera, quella per l'appunto dei Rom, che non poteva certo portare la colpa collettiva di quanto era accaduto.
LA VICENDA GIUDIZIARIA
Quello della Cassazione non è il primo annullamento del processo: ce ne fu uno già nel marzo 2023, quando ad essere eliminate furono le condanne fino a 25 anni e due mesi inflitte dalla Corte d'appello di Firenze a 4 dei 7 imputati che erano accusati di aver partecipato all'inseguimento, determinando un processo di appello bis per ricalcolare la pena (il ricalcolo era dovuto a una sanzione diversa prevista per chi vuol compiere un reato diverso da quello poi commesso, come stabilito dall'attenuante dell'articolo 116 del codice penale). In quell'occasione i giudici avevano depositato la motivazione della sentenza che nell'ottobre del 2022 aveva confermato la condanna a 25 anni, per omicidio volontario con dolo eventuale, a Remzi Mustafa, l'uomo alla guida della Volvo che travolse Dini e la pena a 7 anni per il tentato omicidio di Rufat Bayram a Kole Amet ed Emin Gani, che a bordo di un furgone avevano partecipato solo alla fase iniziale dell'inseguimento, a causa di un guasto al mezzo che li costrinse a fermarsi. I giudici della Cassazione hanno quindi disposto che si dovrà svolgere al tribunale di Firenze un nuovo processo d'appello, il terzo, che si occuperà di ricalcolare ancora una volta la pena per i quattro imputati.
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