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Il mare di Genova, città che l’ha adottato, suggerisce la metafora su una vita sconvolta: «Il mio era un castello di sabbia bellissimo: è crollato in un attimo e ricostruirlo è difficile». Francesco Flachi è stato golden boy alla Fiorentina e bandiera alla Sampdoria (110 gol: davanti solo Roberto Mancini e Gianluca Vialli), poi è caduto nella trappola della droga, ha scontato dodici anni di squalifica, ha trovato la forza di risollevarsi. Voltandosi indietro, dà la colpa a se stesso, prova a spiegare senza cercare alibi. E spera che il suo errore diventi lezione per i giovani.
Francesco Flachi, ricorda la prima maglia?
«La indosso in una foto che mi scattarono a due anni, era quella della squadra di papà Giampaolo: stavo appoggiato a un muro, il piede su un pallone troppo grande».
Figlio d’arte...
«Mio padre era una promessa, lo voleva l’Atalanta ma non riuscì a staccarsi da casa: ha giocato sempre in Toscana, tra Serie C e D, e io bambino lo seguivo ovunque. A Prato è stato allenato da Enzo Bearzot».
Bazzicava tanti campi, ma la notarono in campeggio...
«Partecipai a un torneo tra camper e tende, venne a vedermi un amico di famiglia dirigente dell’Isolotto. Avevo otto anni, mi presero subito».
Piede fatato e gol a raffica, l’eco del suo talento raggiunse Napoli...
«Tre giorni in prova a Soccavo, un’esperienza bellissima. E la fortuna di vedere Maradona da vicino. Mi voleva anche il Milan, ma Moggi, ds azzurro, era il più deciso».
Telefonò a casa...
«E rispose mamma Titti che, immaginandomi così lontano, ancora bambino, scoppiò in lacrime. Papà allora prese tempo e chiamò Furio Valcareggi, vecchio compagno di squadra diventato agente, che contattò la Fiorentina: per avvicinarsi all’offerta del Napoli, superiore, promisero all’Isolotto un’amichevole con incasso a favore e i ricavi del botteghino di alcune partite del “Viareggio”. Il massimo per me, di Campi Bisenzio e tifoso viola».
Scalava le giovanili e aveva fama di predestinato...
«Io pensavo solo a giocare, ma sì, il nome girava. Spesso abbinato a quello di Del Piero e di Totti, che era un anno più piccolo. Con Alex eravamo compagni nell’Under 17, poi nella nazionale militare che si presentò con uno squadrone al Mondiale: c’erano Bigica, Cannavaro, Galante, Delvecchio».
Il salto in prima squadra nel 1993, torneo Anglo-Italiano...
«Ranieri mi fece debuttare a Portsmouth: feci l’assist del pareggio, segnai un gol e procurai un rigore. In Primavera non sono più tornato. Incredibile trovarmi nello spogliatoio: fino a pochi giorni prima tifavo in curva Fiesole».
I suoi idoli?
«Antognoni, la storia. E Baggio che lasciò Firenze prima del mio esordio ma ho avuto la fortuna di incrociare nelle partitelle del giovedì. Poi ho imparato molto da Baiano, frenato dagli infortuni ma fortissimo, e da Batistuta».
Il ragazzo gioca bene...
«Il coro dei tifosi, da brividi. In maglia viola ho vissuto grandi emozioni, ma avrei potuto fare di più: non avevo capito che il calcio era diventato un lavoro, sono stato un po’ ingenuo e superficiale e ho pagato. Dopo tre anni andai in prestito al Bari, in Serie B, salimmo ma non feci benissimo: ero un po’ mammone, la lontananza mi pesava. Al ritorno avvertii una fiducia nuova, ma a gennaio arrivò Edmundo e non c’era più spazio: altro trasloco ad Ancona, inizio difficile, poi con Scoglio sono cresciuto tanto. Quando ho capito che volevano prestarmi ancora, ho detto basta: amavo Firenze ma avevo bisogno di continuità».
La trovò alla Sampdoria...
«Mi scelsero il presidente Mantovani e il ds Arnuzzo, la società e non l’allenatore. In blucerchiato ho vissuto otto stagioni una piu bella dell’altra e conservo un rapporto splendido con la città e con i tifosi: vivo a Genova e fatico a pagare un caffé, a volte l’amore della gente mi imbarazza».
Nessuno ha dimenticato il suo «no» al Monaco.
«In tre anni avevo fatto oltre 50 gol e il club francese mi offrì un quadriennale da 15 milioni: scelsi di rimanere in B per aiutare la Samp in un momento delicato, era sull’orlo del fallimento. Arrivò Garrone e affidò la panchina a Novellino, tecnico cui devo tanto e che ho cercato sempre di ripagare: con lui gli anni migliori, dicono sia stata la Samp più bella dopo quella dello scudetto, subito la Serie A, poi arrivammo a un punto dalla Champions».
Sul più bello...
«Mi infilarono in un caso di scommesse e beccai due mesi di squalifica, io che non ho mai puntato un euro. E dire che per tre mesi mi avevano intercettato senza trovare un’ombra. Stavo entrando nel giro della nazionale, mentalmente mi hanno ucciso e ho reagito nel modo più sbagliato».
La cocaina...
«Un giorno l’ad Marotta mi chiamò in ufficio: “Ti hanno trovato positivo”. Balbettai qualcosa, ma mi fermò subito: “Non è il momento delle spiegazioni, vai via che stanno arrivando giornalisti da tutto il mondo”. Corsi a casa e appena chiusa la porta mi misi a piangere. Solo colpa mia, di una doppia personalità: leone in campo e bischero fuori. Ma ho fatto male solo a me stesso e ho pagato. Oggi cerco di trasmettere la mia esperienza ai giovani affinché non commettano i miei errori».
Due anni senza calcio...
«Ho provato a ripartire dall’Empoli, e ringrazierò sempre il ds Vitale per l’opportunità, ma la fatica mentale accumulata, il non sentirmi più protagonista, mi avevano rubato motivazioni. Stessa cosa a Brescia: non ero più io. E ho continuato a cercare le soluzioni peggiori al disagio, a insistere con cazzate che in quel momento mi piaceva fare».
Recidivo: dodici anni di stop. «Il castello giù. Il dolore. Le difficoltà di rialzarsi. La separazione. Ho subito attacchi violenti e preso porte in faccia, ma la famiglia e diversi compagni mi sono rimasti accanto. E i tifosi, soprattutto, non mi hanno abbandonato: quando ho aperto dei locali a Firenze, venivano in tanti, anche dalla Liguria. Mi hanno dato forza, a me basta poco: un abbraccio o una parola mi fanno stare meglio. Così ho ricominciato, ho perso tutto ma mi sto riprendendo tutto: vivo a Genova con Carolina che mi ha restituito la gioia dei sentimenti, sono opinionista a Telenord e responsabile del settore giovanile del Golfo Paradiso».
Intanto ha riscoperto la bellezza del pallone.
«Ho allenato in Terza Categoria il Bagno a Ripoli, abbiamo vinto il campionato e ci siamo salvati in Seconda. Non potevo entrare negli stadi, ma mi bastava allenare per sentirmi vivo, felice, poi ho iniziato a insegnare ai bambini del Signa».
Immaginiamo, visto il suo passato, abbia dovuto combattere contro i pregiudizi.
«Inevitabili, ma non mi hanno mai preoccupato: appena le persone mi conoscono, svaniscono».
Sempre con il Signa, in Eccellenza, è tornato in campo...
«Un’idea del presidente Andrea Ballerini, Gatto per noi amici, vecchio compagno di curva. Avevo 46 anni e dopo dodici di oblio mi sono sentito nuovamente un calciatore importante. Poi ho giocato ancora con la Praese, ora che ho smesso sto prendendo il patentino da allenatore. Nel mio futuro vedo una panchina e la gavetta non mi fa paura».
Il podcast
“Vita Rovesciata – Ascesa e caduta di un calciatore del popolo” scritto con Matteo Politanò, disponibile su OnePodcast e sulle principali piattaforme di streaming audio. In otto puntate il podcast ripercorre la carriera tra cadute e risalite
dell’ex numero 10, con speciali contributi di amici e colleghi da Giancarlo Antognoni ad Attilio Lombardo, da Fabio Quagliarella a Francesco Baiano, e ancora Angelo Palombo, Fabio Bazzani, Sergio Volpi e Gianluca Berti.