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A quattordici mesi dall’inizio della guerra a Gaza, dal massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023 a cui è seguita la reazione di Israele, l’accordo per il cessate il fuoco, cercato inutilmente per settimane e settimane, appare all’orizzonte. Alcune fonti egiziane ipotizzano che la conclusione sia possibile già entro la settimana, altre entro la fine dell’anno. Addirittura ieri Reuters aveva diffuso la notizia della partenza del primo ministro Benjamin Netanyahu verso il Cairo, per siglare l’accordo, ma immediatamente è arrivata la smentita del portavoce. In realtà Netanyahu ha compiuto un altro viaggio storico, visto che ha raggiunto il versante siriano del monte Hermon dove ha spiegato: «Resteremo finché non si troverà un altro accordo che garantisca la sicurezza di Israele» (poco dopo dal Ministero degli Esteri è stato spiegato che il leader dei ribelli che ora controllano Damasco è un «lupo travestito da agnello»).
REBUS
E ieri sera un giornalista solitamente molto ben informato, Barak Ravid, che collabora con il sito Axios, con la Cnn e con Walla, ha avvertito: «Un alto funzionario israeliano mi ha detto che una delle ragioni per cui le distanze non si stanno colmando abbastanza rapidamente è la posizione dei leader di Hamas a Gaza, guidati da Muhammad Sinwar, il fratello dell'ex leader di Hamas Yahya Sinwar, ucciso due mesi fa». Elior Levy, giornalista di Channel 11, ha confermato: «Una fonte palestinese coinvolta nei negoziati dice: ci sono contatti, c'è intensità nei dialoghi, ma c'è anche un eccesso di ottimismo. Le parti stanno facendo progressi, ma la strada è lunga». Hamas chiede un cessate il fuoco definitivo, non una semplice sospensione, perché - dicono fonti palestinesi - teme che con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca ci sarà un nuovo via libera alla guerra. Nel pacchetto che potrebbe convincere Netanyahu rientrerebbe anche la normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita, al culmine di un processo interrotto dal massacro del 7 ottobre.
Questa seconda parte del 2024 ha messo in fila una serie di eventi che portano all’indebolimento di Hamas: il 16 ottobre a Rafah è stato ucciso il leader Yahya Sinwar, dopo che un mese prima era stato eliminato il numero 1 di Hezbollah, Hassan Nashrallah; il 27 novembre è scattata la tregua che cessa i combattimenti tra le milizie di Hezbollah e Israele nel Sud del Libano; la settimana scorsa c’è stata la sorprendente caduta del regime di Assad, il dittatore siriano fuggito a Mosca, che lascia l’Iran senza un importante alleato. In questa successione di eventi, che oggettivamente rafforzano Israele, ci sono tutti gli elementi perché Hamas accetti i termini di un cessate il fuoco che parta dalla liberazione di una parte dei 96 ostaggi ancora prigionieri nella Striscia, dopo i rapimenti del 7 ottobre di un anno fa (Israele ipotizza però che solo 62 siano ancora in vita). Da quando Israele ha iniziato le operazioni militari nella Striscia ci sono state almeno 45mila vittime, in buona parte civili.
Cosa sappiamo dell’intesa? Fonti egiziane hanno spiegato a Reuters che «sebbene Natanyahu non sia in effetti al Cairo, è in corso un incontro per definire gli ultimi punti dei negoziati con Hamas. Si stanno facendo progressi». Hamas, per firmare l’accordo, chiede che comunque sia propedeutico a un’intesa globale di stop alla guerra. Altro dato importante: Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese, oggi arriverà nella capitale egiziana. Il canale Al Arabya dispone di informazioni secondo cui «ci sono pressioni per concludere l’accordo prima di Natale» e una «squadra tecnica» israeliana è a Doha per parlare con i mediatori del Qatar sui dettagli ancora incerti. Il punto di partenza è il piano proposto dal presidente Usa, Joe Biden, il 31 maggio. E il ministro della Difesa israeliano, Yisrael Katz, si è sbilanciato: «Il governo è più vicino che mai a raggiungere un accordo sullo scambio di prigionieri», anche se la decisione finale spetterà a Netanyahu. Cosa c’è sul tavolo? Un percorso in tre tappe per un cessate il fuoco di 60 giorni. I primi 45 saranno impegnati per il rilascio degli ostaggi civili e delle donne militari ancora nella mani di Hamas, mentre l’esercito israeliano si ritirerà dai centri urbani, dalla strada costiera e dalla parte di territorio al confine con l’Egitto (il corridoio Filadelfia). Nella seconda tappa ci sarà la liberazione dei restanti ostaggi, mentre la terza deve portare a una trattativa per la fine della guerra (non dunque una semplice sospensione). Secondo un quotidiano del Qatar, Hamas ha già consegnato una prima lista di ostaggi malati e anziani e di altri con passaporto Usa. Prevista anche la scarcerazione di un numero importante di detenuti palestinesi dalle prigioni israeliane e il ritorno degli sfollati nella zona settentrionale della Striscia. Ma quanto è vicino il cessate il fuoco? La domanda è lecita visto che nel corso dei mesi in più occasioni l’accordo sembrava dietro l’angolo, ma poi - salvo per un breve periodo quando ci fu la liberazione di una parte degli ostaggi - è sempre saltato. Scrive il Washington Post: «Con il suo potere militare esaurito e la sua influenza politica in calo, Hamas è sottoposto a crescenti pressioni per contribuire a porre fine alla guerra a Gaza». Per questo Hamas, sempre secondo il Washington Post, ha ridimensionato la richiesta di un ritiro completo dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza. Anche la Casa Bianca si è sbilanciata. Dice il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, parlando con Fox News: «L'accordo a Gaza è vicino. Crediamo - e gli israeliani lo hanno detto - che ci stiamo avvicinando ma siamo anche cauti nel nostro ottimismo. Però siamo già stati in questa posizione e non siamo riusciti ad arrivare al traguardo».