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Gaza, padre Faltas «Abu Mazen non è un leader debole e resta l'unico interlocutore, ora speriamo in Trump»

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«Abu Mazen non è un leader debole come si continua a insinuare. Del resto quello che ha fatto a Jenin non era di certo facile. Se c'è un presidente che ha impedito tanti attentati in isreaele... beh è proprio Abu Mazen e questo dovrebbe fare riflettere. Persino Israele». Quando si riferisce ai fatti di Jenin, in Cisgiordania, padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, tra i religiosi che hanno sempre interloquito con Papa Francesco, ha in mente l'operazione sicurezza avviata nel dicembre scorso dall'Autorità Palestinese per frenare i combattenti anti-Israele e spegnere la resistenza che affianca i terroristi di Hamas.

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JENIN

In una video conferenza da Gerusalemme Ibrahim ripete che «o si trova una soluzione in questo contesto storico, oppure il nodo israelo-palestinese continuerà ad accendere focolai» in tutta la regione. La speranza non solo è nella tregua («sperando che regga») ma nella futura azione di Donald Trump.

Il mese scorso questo francescano di origini egiziane è andato alla inaugurazione di Notre Dame a Parigi anche per potergli parlare personalmente . «Nutro fiducia in lui e spero che possa davvero fare qualcosa. Quando l'ho visto e gli ho parlato mi ha detto che sul problema di Gerusalemme Est si devono studiare opzioni decisive, concrete e lui mi è parso convinto di poterci riuscire. Sarebbe la pace. Ha intuito che il nodo di tutto, il groviglio centrale, il cuore del problema è proprio quello. Gerusalemme Est. Naturalmente dietro questa tregua c'è anche lui che si è speso e ha insistito molto. Quando è convinto di qualcosa agisce di conseguenza. Lui sa di avere quattro anni davanti per lavorare. Speriamo  possa costruire un percorso. Le vittime sono ormai tantissime da tutte e due le parti».

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Proprio in queste ore che il governo israeliano ha avviato l'operazione “Muro di Ferro” a Jenin per sradicare il terrorismo, padre Faltas suggerisce di prestare particolare attenzione alla leadership di Abu Mazen. «E' ancora rispettato dai palestinesi, e non è vero che non ha leadership, benchè in tutti questi anni gli israeliani non lo hanno preso in considerazione. Cosa gli hanno dato?» Il futuro per arrivare alla formula due popoli due stati non può che quindi passare da questa figura che, ricorda il francescano, è lo sherpa che ha preparato materialmente gli accordi di Oslo discussi a suo tempo dal presidente Arafat. «Poi le cose sono andate come sappiamo, ma dietro tutto c'era lui e questo oggi non si può dimenticare. Se non ci fosse stato lui a governare in questi anni la Cisgiordania sarebbe diventata molto peggio di Gaza. Ha fatto tantissimo per il suo popolo».

HAMAS

Quanto alla presenza di Hamas padre Ibrahim suggerisce di analizzare i filmati diffusi a Gaza mentre venivano liberate le tre ragazze israeliane, ostaggio dei terroristi dal 7 ottobre 2023. Si vedevano decine e decine di miliziani spuntati dal nulla armati fino ai denti. «Si è detto in questi mesi che Hamas a Gaza si sia indebolita eppure l'altro giorno ha voluto dare un messaggio diverso, come volesse sottolineare che è ancora forte. Sicuramente la liberazione dei prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane potrebbe rafforzare Hamas ma io dico in continuazione che non rappresenta affatto il popolo palestinese. E che tutto ora dipende da Israele adesso. Abu Mazen è disponibile a prendere in mano Gaza per il post guerra».

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Infine nel colloquio con il religioso non è mancato un pensiero ai pellegrinaggi nei luoghi santi. I viaggi si sono ovviamente bloccati a partire dall'8 ottobre 2023 e da allora Betlemme, così come tutti gli altri luoghi della fede, sono andati deserti, facendo crollare l'unica e fondamentale fonte di sostentamento della minoranza cristiana quasi totalmente impiegata nel settore turistico. «Dall'inizio della guerra 147 famiglie se ne sono andate via, sono emigrate all'estero. Se va avanti così in Terra Santa non ci saranno quasi più cristiani». 

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