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PADOVA - Tornato nel pomeriggio di mercoledì al Comando della polizia Stradale di Padova e prima che il sostituto procuratore Giorgio Falcone lo raggiungesse, Andrea Favero ha ammesso davanti agli agenti della Stradale e della Mobile di aver ucciso la sua fidanzata Giada Zanola, mamma del loro bambino di 3 anni, trovata morta nella notte tra martedì e mercoledì sull’asfalto dell’A4 dopo un volo di 15 metri e dopo essere stata arrotata e trascinata da un tir che l’ha investita. Una confessione poco lucida nella quale non viene ricostruita la dinamica di quanto accaduto alle 3.30 di mercoledì sul cavalcavia dell’A4 a Vigonza, ma che è bastata agli investigatori per mettere Favero di fronte alle proprie responsabilità, chiamare il pm (di fronte al quale il camionista non ripeterà più l’ammissione, limitandosi a dire che non riesce «a mentalizzare» quegli istanti) e dare inizio all’interrogatorio che alle 2.05 di giovedì ha portato Favero, camionista di 38 anni, in cella con l’accusa dell’omicidio volontario di Giada Zanola. Un omicidio, per la Procura, «d’impeto» e «aggravato dal rapporto sentimentale» ormai arrivato al capolinea: da alcuni mesi la donna aveva iniziato una relazione con un altro uomo e per questo aveva deciso di interrompere la convivenza con il 38enne, di tenere con sé il figlio avuto da lui e di cambiare anche lavoro per passare più tempo con il nuovo fidanzato.
CONFIDENZE
A fare da contorno alla situazione ormai al limite tra Favero e Giada, ci sono agli atti i timori confidati dalla mamma di 33 anni alla sua migliore amica. Tra questi, a parte le violenze subite (con tanto di foto di ecchimosi mandate via Whatsapp) e la paura di essere avvelenata, anche il forte sospetto che Andrea Favero potesse vendicarsi di lei diffondendo sue foto intime. Che Giada fosse terrorizzata da questo aspetto, lo si capisce anche dal fermo siglato dal pm. È il dottor Falcone a scrivere che «gli aspetti relativi alla possibile divulgazione di filmati aventi contenuti sessualmente espliciti sarà oggetto di ulteriori approfondimenti in sede di perizia informatica». Quando, cioè, il telefono di Favero – ora sotto sequestro – verrà aperto e ne verrà fatta copia, anche per verificare se ci fossero stati, nel passato, messaggi violenti o di minaccia spediti alla sua compagna, il cui smartphone non è ancora stato trovato.
LE INDAGINI
Anche per questo gli inquirenti sono tornati ieri mattina in quel tratto della A4 a eseguire nuovi rilievi. Dopo il recupero del corpo, il campionamento delle tracce ematiche e il sequestro di alcune parti di carrozzeria che si ritiene appartengano al camion che per primo l’ha travolta, sono stati cercati altri reperti. In primis proprio gli effetti personali della 33enne: il cellulare e i documenti non risultano al momento recuperati. L’abitazione di via Prati non è stata sequestrata, ma non sono esclusi nuovi sopralluoghi. In quello condotto mercoledì non sono finora emerse tracce di sangue, confezioni di farmaci o sostanze direttamente riconducibili al delitto. Prelievi e rilievi tecnici sono invece stati eseguiti sull’auto di Giada, che quella notte Favero ha ammesso di aver utilizzato. E mentre gli agenti passavano al setaccio il tratto autostradale, in una stanza della Casa circondariale di Padova andava in scena l’udienza di convalida del fermo.
IN CARCERE
Favero – assistito dall’avvocato Laura Trevisan – ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere tanto alle domande del pm quanto a quelle del giudice per le indagini preliminari Laura Alcaro che a fine mattinata ha notificato al camionista un’ordinanza di custodia cautelare in carcere puntando sui gravi indizi di colpevolezza e facendo leva proprio sull’ammissione spontanea fatta agli agenti prima dell’interrogatorio. Nell’ordinanza il giudice non ha però convalidato il fermo disposto giovedì dalla procura: non sussisteva – secondo il gip – il concreto pericolo di fuga in quanto a casa della coppia, in via Prati 8 a Vigonza, non sono stati trovati biglietti o bagagli pronti. Negati anche gli arresti domiciliari chiesti dal camionista.
L’ESAME
Sempre ieri il professor Claudio Terranova ha iniziato l’autopsia sul corpo di Giada, un esame che sarà fondamentale per fare luce sul dubbio attorno al quale ruota tutta la vicenda, cioè l’ora e la causa della morte.
Il primo esame del medico legale sul cadavere, mercoledì mattina, ha escluso la presenza di ferite, eccetto quelle dall’impatto con l’asfalto e da trascinamento e quelle già confessate dalla vittima all’amica in una chat dopo la lite di lunedì sera. C’è però l’ipotesi che Giada sia stata stordita in casa, magari con qualche sostanza e poi, incosciente, portata in auto sul cavalcavia e da lì gettata sull’A4.
Nell’abitazione, come detto, gli agenti non hanno trovato né farmaci né tracce di sangue o altro, ecco perché gli esami tossicologici – per l’esito dei quali serviranno alcune settimane – daranno la risposta che gli inquirenti cercano per far quadrare una dinamica che finora si basa sulle dichiarazioni di Favero: «Ricordo che (martedì sera, ndr) eravamo a casa... poi però abbiamo cominciato a litigare e Giada si è allontanata a piedi verso il cavalcavia che dista circa un chilometro da casa. Io ho preso l'auto e l'ho seguita raggiungendola dopo pochi metri e facendola salire per portarla a casa. Continuavamo a litigare, mi sbraitava addosso come spesso ultimamente faceva dicendo che mi avrebbe tolto il bambino. A quel punto ricordo che siamo scesi dall'auto. Non ricordo se siamo saliti sul gradino della ringhiera che si affaccia sull'autostrada». Nessuna delle telecamere che riprende l’auto salire sul cavalcavia però inquadra qualcuno che cammina. E resta una domanda: perché Giada avrebbe dovuto salire sul bordo cavalcavia?