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Gianna Nannini: “Tutta la rabbia del mio rock”

9 mesi fa 39
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«In Germania nel 1983 ho provato cosa significa essere vicini alla follia. Una crisi che non so nemmeno come identificare: depressione, pazzia, che ne so? Non sapevo più chi fossi. Quando mi sono ripresa ero come una bambina. Non mi andava nemmeno di bere il caffè come sarebbe normale per un adulto. Avevo appena finito il film di Salvatores, Sogno di una notte d’estate, giravamo solo di notte, non dormivamo mai e vivevo costantemente sotto pressione. Sono andata fuori di testa e ci ho messo un po’ per riprendermi ma sono rinata. Questo nuovo disco Se nel l’anima, mi raccomando con “nel l’anima” scritto così e non come il titolo della mia canzone, doveva cominciare con un brano che esorcizzasse quell’anno. Il titolo doveva essere 1983».

Gianna il ventiduesimo album di inediti della sua lunga vita artistica inizia con il ricordo della pagina più nera della sua vita.

«Un progetto che comprende un album, un film, la riedizione del libro Cazzi miei e un tour pensati con tutta l’anima, nella traduzione della parola inglese “soul”. 1983 è liberatoria, rockissima, una sberla che parla dell’anno della mia rinascita dove canto “Sono nata senza genere” così come ritengo di essere da sempre; forse una delle cose più hard che ho fatto».

In “Maledetta confusione” c’è molta malinconia.

«È una canzone denuncia rispetto a quello che succede fra uomo e donna al giorno d’oggi con una media di due femminicidi a telegiornale. Nel film sulla mia vita Sei nell’anima (qui il titolo è scritto come nella canzone, arriverà dal 2 maggio su Netflix), si vedranno anche le molestie di un maestro di musica nei miei confronti. Un trauma che ho tenuto dentro per molti anni ma, invece di andare dallo psicologo, nel 1977 ci scrissi una canzone intitolata “Basta”».

Femminicidio, una parola bruttissima.

«Parola magica e maledetta. Da quando è apparsa i media l’hanno usata in tutte le salse. Purtroppo, però, più si parla di femminicidi e più se ne sentono. Non so se sia emulazione mediatica, non so più nulla. D’altra parte, con l’associazione “Una nessuna centomila” cerchiamo di mettere davanti agli occhi delle ragazze un fatto: state attente a chi avete al fianco. Denunciate, fatelo subito anche quando ci si trova in situazioni di pericolo verbale perché da lì a poco quelle parole potrebbero trasformarsi in azioni».

Un equilibrio, fra parole e azioni, che in “Filo spinato” si trasforma in monito.

«Quando canto “ballare sul filo spinato” mi riferisco alle relazioni pericolose che invece di diventare amore sono un filo spinato affilatissimo. Pensi, una canzone nata in vespa mentre io e Jacopo Ettorre ce ne andavamo in giro e avevamo l’aria fresca in faccia. Un pensiero pesante in un momento leggerissimo».

La collaborazione con Pacifico non si è interrotta, anzi. Ora però Gino è coautore solo di tre brani: “Silenzio”, “Stupida emozione” e “Mi mancava una canzone che parlasse di te”.

«Lui mi ha tradito e anche io lo tradisco. Ce lo siamo detti con Alex Raige Wella con il quale ho fatto molto di questo Sei nel l’anima e che ritengo sia un artista eccezionale».

Tra le firme di “Stupide emozioni” c’è anche il nome di Giuseppe Faiella. Il vero nome di Peppino di Capri. È lui?

«Sì certo. È un pezzo di due anni fa di Peppino ed è talmente bello che non potevo non metterlo nel disco».

Sui collaboratori non ha lesinato. Andy Wright (Massive Attack, Jeff Beck, Simply Red), Troy Miller (Amy Winehouse, Gregory Porter, Diana Ross), fino alla partecipazione del produttore e chitarrista Raül Refree (Rosalia, Guitarricadelafuente) che ha invitato anche allo show case all’Armani Privé di ieri sera.

«Per la festa ho voluto Raul perché per “Mi mancava una canzone che parlasse di te” gli arpeggi di chitarra catalana li poteva interpretare così intensamente solo lui».

Nel disco c’è anche la cover di Etta James “I’d rather go blind” tradotta in “Il buio nei miei occhi”.

«Era parte di un progetto, per ora nel cassetto, di cover Motown che voglio fare da anni. Questa canzone è l’unica della quale ci hanno dato i diritti e in italiano veniva bene. Non ho mai fatto cover ma siccome questo album è pieno di soul, l’anima di cui parlo nel titolo, regalarmi questa scintilla mi è sembrato giusto».

Nell’ultima canzone del disco lei canta la frase: “piccolo grande amore”. Una citazione voluta di Baglioni?

«Non proprio, ma la frase c’è così ho chiamato Claudio perché mi piaceva quella riga di testo e non volevo cambiarla. Mi ha risposto subito e ha detto: “È sulla carta e tutti la possono prendere”. L’ho lasciata».

È possibile che quest’anno quando ha duettato a Sanremo assieme a Rose Villain col medley “Scandalo”, “Meravigliosa creatura” e “Sei nell’anima” ci fosse un accenno alla nuova “1983”? Non era una canzone edita e magari qualcuno, se ne fosse accorto, avrebbe potuto sollevare questioni.

«Sì, l’ho fatto, ma non lo dica a nessuno anche perché nessuno se ne è accorto. È stata una cosa rock! Se non l’avessi fatta io chi sennò?».

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