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Dunque, ci siamo. Con l'apertura della Porta Santa oggi s'inaugura il Giubileo, l'evento del perdono che nel 2025 si stima attirerà a Roma 32 milioni di pellegrini. Un test significativo per una città che ha l'ambizione di vedere riconosciuta la propria funzione di Capitale, non soltanto il ruolo formale, e in questo caso offre all'Italia un modello virtuoso di collaborazione tra istituzioni, oltre le appartenenze politiche. La cabina di regia tra palazzo Chigi-Campidoglio-Regione-Soprintendenze e grandi imprese ha funzionato, per una volta la burocrazia non si è fatta moloch ma ha teso una mano. Non sappiamo se si tratti di un miracolo civile dentro un evento religioso, come è stato definito, ma l'inaugurazione di piazza Pia, il cantiere simbolo della Roma giubilare, nei tempi previsti e senza deroghe alle procedure ordinarie, e i tanti "spacchettamenti" di monumenti e luoghi simbolo dopo restyling attesi anni, tutto questo fa tabula rasa di una certa narrazione, quella della città indolente e velleitaria, se non refrattaria ai grandi eventi. I disagi sono un prezzo che i romani hanno pagato, e stanno tuttora pagando senza sconti, ma adesso davanti a loro non hanno soltanto ruspe e sampietrini impilati, piuttosto la prospettiva di una Roma modernizzata, dove i reperti convivono con una visione, e non più con un rimpianto. Il Giubileo, comunque lo si voglia interpretare, restituirà al mondo, lungo le rotte di rientro dei pellegrini, l'immagine di una Capitale e di un Paese, per questo è una scommessa nazionale. La si può vincere facendo sistema, dando prova di stabilità e coerenza. Il vero miracolo civile sarà la rimessione degli egoismi e delle piccole lotte di posizione che troppo spesso hanno bloccato l'Italia.
Il primo Giubileo fu nel 1300, per volontà di papa Bonifacio VIII, il quale, come ha efficacemente raccontato monsignor Rino Fisichella sulle pagine di questo giornale, cedette alle pressioni del popolo romano e alla vulgata per cui «dicono che è sempre usato, nel primo giorno del centesimo anno, cancellare tutti i peccati e le pene». Di certo non difettano né i peccati né le pene al primo quarto del terzo millennio, per l'impazzimento di un pianeta in cui sono in corso 54 conflitti armati, mai così tanti dalla Seconda guerra mondiale, la maggior parte rimossi dall'opinione pubblica in un sussulto di indifferenza. O stanchezza.
La capacità di indignarci (e dividerci) è assorbita dalle due guerre che più agitano le nostre prospettive di futuro, sotto l'incalzare delle mire neo-imperialiste di Putin e nelle more della tragedia infinita del Medio Oriente. Non ci illudiamo che la prospettiva di una "perdonanza" porterà al tavolo delle trattative i protagonisti di queste crisi - non più di quanto potrà riuscirci Donald Trump dopo l'insediamento alla Casa Bianca -, ma la pazienza della fiducia (se non della fede) ha una sua forza intrinseca. E il messaggio del Giubileo, la sua pervasività, il potenziale impatto sulle coscienze, si spera riesca a portare un po’ di luce in uno scenario cupo, come nella Crocifissione bianca di Chagall, il capolavoro prestato a Roma alla vigilia dell'evento mondiale e visitato dal Pontefice il giorno dell'Immacolata.
Sarà dunque il Giubileo della speranza, nelle intenzioni di Bergoglio, che d'altra parte non ha mai dissimulato le sue preoccupazioni. E' stato lui a inventare la formula della "terza guerra mondiale a pezzi", per descrivere l'attuale quadro internazionale, e i fatti stanno dimostrando che non si trattava solo di uno slogan. In questi anni la Chiesa ha tentato una difficile mediazione, vedendola spesso fallire, ma è soprattutto la tela silenziosa dei rapporti con la Cina, l'unico possibile dissuasore di Mosca, a poter produrre dei risultati in prospettiva.
Da oggi, in qualche modo, il Vaticano potrà rivendicare la centralità dei valori cristiani, in una fase storica in cui le chiese tendono a svuotarsi, complice l'emorragia di cattolici praticanti (o anche solo dichiarati: secondo un recente sondaggio negli ultimi sei anni sono calati del 17%), e le vocazioni subiscono una crisi irreversibile. La capacità della Chiesa di tenere il passo con i mutamenti sociali, di dare risposte alle esigenze della generazione Z, di aggiornarsi, e in definitiva di contrastare due processi opposti - la secolarizzazione e la radicalizzazione - viene messa a dura prova. L'ondata di pellegrini che raggiungerà Roma nel 2025 può forse portare energie e vibrazioni nuove (non a caso l'evento clou sarà il Giubileo dei giovani, a luglio).
Questo si augura Francesco, in un contesto caotico in cui il mondo occidentale ha perso progressivamente riferimenti e si scopre ripiegato nelle proprie ansie, nelle tentazioni isolazionistiche e negli estremismi che danno voce alle insicurezze. La pressione dei Paesi emergenti, e le rivendicazioni del Sud del mondo, sembrano combaciare meglio con lo spirito di un Pontefice che rivolge il suo sguardo soprattutto alle periferie. In questo senso il Giubileo del 2025 segue un percorso inverso, quasi di restaurazione. Perché Roma è il centro, un centro rinnovato, in grado di proiettarsi oltre il 2025, quando si richiuderanno le Porte ma non piazza Pia.