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Giustizia, lo sprint di Meloni sulle toghe: «Subito carriere separate». E su Toti: «Lo ascolteremo»

5 mesi fa 5
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Giorgia Meloni non si esprime, o quasi, sul terremoto giudiziario in Liguria: «Toti? Aspettiamo le sue risposte, è il minimo sindacale di rispetto». Resta cauta la premier sul caos ligure che rischia di avere ripercussioni sulla maggioranza a un mese dalle Europee.

Ed è una cautela condivisa ai piani alti del governo, a sentire il leader di Forza Italia Antonio Tajani che ora non esclude le dimissioni del governatore nella bufera: «Aspettiamo il riesame, lui deciderà il da farsi. Certamente da detenuti è difficile governare...».

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Dopo giorni di attesa, la premier rompe il silenzio sul caso Toti sul palco della festa de La Verità. Una difesa a metà, «ha governato bene», che non si traduce in aperto sostegno al presidente finito agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione. Resta prudente Meloni, mentre su tutto il resto calza l’elmetto elettorale in vista delle Europee. Promette che la separazione delle carriere di pm e giudici, riforma osteggiata da buona parte delle toghe, «arriverà nei prossimi giorni in Consiglio dei ministri». E replica duro alle accuse che montano dalle opposizioni su una Rai melonizzata, sulla censura di intellettuali, donne e uomini dello show business: «TeleMeloni? Non esiste. Il nervosismo c’è perché non c’è più TelePd».

L’ARRINGA

Una premier lancia in resta si presenta sul palco del festival de La Verità, intervistata da Maurizio Belpietro. Meloni-combat, questa almeno è l’impressione dopo un’ora di botta e risposta su tutti i temi che conteranno alle urne europee dell’8 e 9 giugno. Subito prima di fare tappa all’ospedale milanese Niguarda e visitare Christian Di Martino, il poliziotto accoltellato la scorsa settimana alla stazione di Lambrate.

La giustizia e il premierato, lo scontro sulla tv pubblica e una campagna elettorale che sarà «divisiva» anche nel centrodestra, ammette lei, ma le «fibrillazioni» non basteranno a far saltare il banco. È un fiume in piena la premier e sembra già scaldarsi per l’attesissimo duello tv con l’arci-rivale Elly Schlein da Bruno Vespa, il prossimo 23 maggio, sempre che le proteste delle opposizioni così come degli alleati non riescano a fermarlo. Meloni non vuole saperne: «Il confronto è il sale della democrazia» e sabotare il match tv «sarebbe un errore». Sul caso Toti invece misura le parole: «Non ho avuto tempo e possibilità di approfondire più di tanto», fa slalom fra i cronisti al suo arrivo. Poi taglia corto: «Aspettare le sue risposte e valutare penso sia il minimo indispensabile per un uomo che ha governato molto bene quella Regione». Una difesa d’ufficio, niente più, che tradisce la linea di FdI e della sua leader sul caso giudiziario del momento. Un garantismo formale ma non politico, così lontano dall’invito a «non dimettersi» pronunciato dal leader della Lega Matteo Salvini - che su questo vuole marcare le distanze con Meloni - e dalla difesa a spada tratta di un veterano di FdI come Guido Crosetto. È il segnale, l’ennesimo, di una fiducia a tempo da parte della leader del governo all’ex delfino berlusconiano nel mirino dei pm. Meloni preferisce parlare di altro. Degli equilibri nella futura Commissione Ue, ad esempio, con la speranza di affidare all’Italia un portafoglio economico, «la concorrenza, il mercato unico, la coesione» ma non disdegnerebbe - ed è una novità - la «delega al Green deal». Lo sguardo soprattutto è al voto spartiacque che l’ha convinta a scendere in campo, a chiedere di «scrivere Giorgia» sulla scheda. Una trovata populista, accusano in coro le opposizioni, e Meloni respinge al mittente: «Mi hanno accusato di tutto, di essere pesciarola, fruttivendola, regina di coattonia, borgatara, non capiscono che per me essere del popolo non è un insulto».

A un anno e mezzo da quando è entrata nella stanza dei bottoni, è arrivato il momento di «verificare il consenso», spiega la timoniera di Palazzo Chigi. È la parola chiave in questa fase. Alle Europee la premier confida di voler «replicare il consenso delle politiche», il 26 per cento. Sempre al consenso guarda Meloni quando promette di andare fino in fondo, cioè fino al referendum costituzionale sulla «madre di tutte le riforme», il premierato che ieri ha iniziato il suo cammino nell’aula del Senato. E no, assicura lei, non sarà né «un referendum su di me», né un colpo basso al Quirinale e le prerogative del Capo dello Stato: «Il premierato riguarda il futuro, non tocca me né Mattarella». Ancora il consenso e la sua ricerca scandiscono la lunga arringa di Meloni quando strizza l’occhio al mondo no-vax che a destra resiste e si fa sentire: «Sono stata messa alla berlina per aver chiesto evidenze scientifiche che giustificavano vaccinazioni di massa nei bambini molto piccoli».

IL CONSENSO

È anche un’ora di Meloni-show. La premier agita in mano i dati sulla Rai dell’Osservatorio di Pavia, «nei primi quattordici mesi di governo Meloni è stata presente in media quattordici minuti», spiega tabelle alla mano puntando il dito sull’“occupazione tv” dei suoi predecessori: Draghi, Conte uno e bis, Gentiloni, Renzi. Un po’ di preoccupazione c’è, ammette in chiusura, per una campagna che «divide»anche il centrodestra. Ma il governo e la squadra reggeranno l’onda d’urto dell’8 giugno, mette a verbale: «Non ho mai pensato a un rimpasto, mi sono data l’obiettivo di arrivare a cinque anni con lo stesso governo che ho nominato».

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