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Sono cinquant'anni che lavoro per Il Messaggero. Dal mio primo articolo del 1975, due colonne su Carlo Dapporto, alla cronaca dei Golden Globe che potete leggere oggi, il mondo è profondamente cambiato, e di conseguenza il cinema di cui mi occupo da sempre, nonché lo stesso giornalismo. Così, ho provato a ripercorrere questi decenni di incontri (tantissimi, spesso esaltanti) ed esperienze (una più formativa dell'altra) che hanno scandito la mia vita professionale nel giornale in cui, fin da ragazzina, sognavo di entrare. Quando ottenni il sospirato contratto da praticante, prima donna assunta in redazione, toccai il cielo con un dito. Ora, nel rimettere insieme episodi e persone ho evitato con cura lo sguardo nostalgico, "passatista" di chi rimpiange i bei tempi andati. Per dirla chiaramente, nel Messaggero attuale che si evolve al passo con i tempi, abbracciando le nuove sfide digitali e raggiungendo nuovi lettori, io sono sempre convinta di fare il mestiere più bello del mondo. Oggi mi diverto a intervistare un talent negli attrezzatissimi studi della nostra web tv tanto quanto mi divertivo ieri, in era pre-cellulare, a rincorrere un regista o un attore per avere le sue dichiarazioni prima degli altri.
L'ATTESA
Rivedo John Huston che, al Festival di Cannes, riceveva i giornalisti sdraiato a letto. Sempre sulla Croisette, proprio davanti ai miei occhi, il mostro sacro Jean-Luc Godard si beccò una torta in faccia dal famoso "entarteur", un belga specializzato nel colpire i famosi. C'ero anche quando Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger si misero a ballare il tango in un ristorante. E quando Lars Von Trier venne cacciato per le sue deliranti dichiarazioni filo-naziste. Alain Delon fu il mio primo scoop per il Messaggero: poche settimane dopo aver iniziato la collaborazione ero riuscita ad avere un'intervista esclusiva sul set svizzero di Mr. Klein e partii carica di adrenalina. Ma il divo francese mi fece aspettare tre giorni in albergo senza dare segni di vita. Al quarto sbucò da una colonna e mi parlò senza reticenze per ore: la lunga attesa, mi spiegarono poi i suoi collaboratori, gli aveva permesso di spiarmi da lontano perché, diffidente come un felino, Alain voleva capire in anticipo con chi avrebbe avuto a che fare.
NATALE
A proposito di superstar, come dimenticare la visita di Sophia Loren al Messaggero? Era la vigilia di Natale 1989, la grande attrice firmò un cospicuo assegno per la nostra sottoscrizione pro-ospedali e poi espresse il desiderio inaspettato di partecipare alla riunione di redazione. Seguì una scena surreale, con Sophia a capo del tavolone dove direttore, vice e capi rimanevano muti, paralizzati dal suo carisma mentre lei continuava a ripetere «fate come se io non ci fossi». Ospite fisso in via del Tritone è stato il gigante Alberto Sordi, per vent'anni anche nostro editorialista che amava proporre temi e idee. Mario Monicelli veniva a farsi intervistare in bus e, già ultranovantenne, rifiutava di essere riaccompagnato dall'auto del giornale: «Posso camminare sulle mie gambe». Un giorno si presentò in portineria Klaus Kinski, piuttosto agitato: voleva sapere da me, chissà mai perché, dov'era finita l'allora fidanzata Debora Caprioglio che l'aveva mollato. E quante estati passate con il king Rino Barillari a rincorrere i talent in vacanza, schizzando da casa Sordi a Castiglioncello fino a Positano da Franco Zeffirelli e poi a Scauri, buen retiro di Nino Manfredi.
L'ATTACCO
Un giorno, ero molto giovane, andai a Cinecittà per intervistare il famoso comico francese Coluche che girava un film con Dino Risi. Ci mettemmo a parlare al ristorante durante la pausa e a un certo punto, indispettito da una innocente domanda sulla sua famiglia, l'attore mi lanciò contro un piatto di spaghetti coprendomi di insulti. In lacrime, correndo a lavarmi inseguita da Coluche sempre più fuori controllo, incontrai il meraviglioso Vittorio Mezzogiorno che, senza nemmeno conoscermi, mi salvò da un nuovo attacco. E poco ci mancò che le suonasse al francese. Se tante interviste si sono svolte nello studio del mitico press agent Enrico Lucherini ai Parioli, nel 2019 Roman Polanski mi ha ricevuta nella sua elegante casa di Parigi: appena denunciato per molestie in Francia, voleva chiudere i rapporti con la stampa ma accettò di parlarmi per intercessione di Luca Barbareschi e sconsolato mi mostrò l'Oscar confuso tra i libri: «Quello non potranno togliermelo mai».
PROTESTE
Alla Mostra di Venezia, nel 1988, i cattolici integralisti minacciavano di marciare contro il film di Martin Scorsese L'ultima tentazione di Cristo: all'alba, mi ritrovai al commissariato del Lido con Laura Delli Colli, allora inviata di Repubblica, a contare i cavalli schierati dalla Polizia contro l'eventuale invasione, che non ci fu. Ed ero da poco al Messaggero quando seppi che Federico Fellini andava a Genova per ispezionare una nave in vista di un nuovo film. Mi presentai all'aeroporto chiedendo con faccia tosta un'intervista. Dapprima contrariato dalla fuga di notizie, il maestro disse "no" ma poi finì per portarmi con sé, mi raccontò in anteprima E la nave va e il reportage finì sulla prima pagina del giornale. Dove una sera del 2011 tornai con l'intervista esclusiva a Woody Allen che si preparava a girare nella Capitale To Rome With Love ma, blindato dalla produzione, non parlava con nessuno: senza qualificarmi e tantomeno sfoderare il taccuino, con l'aiuto della sua birra preferita ero riuscita a far "cantare" il regista sulla terrazza della sua amica Adriana Chiesa Di Palma affacciata su piazza di Spagna. Lui, stregato dalla grande bellezza di Roma, rispondeva a tutte le mie domande. E io, mentre tornavo trafelata al giornale, le sue risposte me le ero appuntate sulle mani.
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