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Il passo indietro che fa bene ai figli

6 mesi fa 5
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Difficile diventare grandi e autonomi quando i genitori non ne danno la possibilità, non lasciano spazio e intervengono di continuo, si intromettono nelle scelte dei propri figli e ne controllano ogni movimento. Oggi, d’altronde, c’è questa mania di voler essere sempre presenti, come se le ragazze e i ragazzi non fossero in grado di gestire da soli gli eventuali (eventuali?) rischi della vita. Tutto parte dalle migliori intenzioni, certo! Ma, come ormai si sa, sono spesso proprio le migliori intenzioni che, invece di aiutare, creano danno. Anche semplicemente perché, a forza di voler evitare che i propri figli soffrano o si mettano in pericolo o siano delusi o prendano fregature, li si priva della maggior parte delle esperienze, molte quali, soprattutto se negative, sono necessarie per affrontare le incertezze dell’esistenza. Incertezze che fanno paura a chiunque, per carità! Ma che i più giovani devono poter attraversare, magari sapendo che accanto a loro ci sono adulti (genitori e insegnanti) pronti ad ascoltarli (se loro ci chiedono una mano).

Basterebbe provare ad ascoltarli sul serio, infatti, per rendersi conto che ciò di cui oggi hanno più bisogno le ragazze e i ragazzi è proprio l’ascolto: essere visti e riconosciuti per quello che sono e non come mere proiezioni narcisistiche dell’io dei propri genitori o dei propri insegnanti (farai, diventerai, realizzerai…). Oggi, tante ragazze e tanti ragazzi hanno bisogno di poter costruire un posto in cui sistemarsi per scoprire pian piano dove li conduce il proprio desiderio. Mentre ciò che accade è che, sempre più spesso, si trovano all’interno di famiglie in cui il ruolo di ciascuno sembra essere stato determinato già prima della nascita: coppie in crisi che fanno figli per risolvere i propri problemi, madri o padri feriti nella propria identità che proiettano sui bambini tutta una serie di aspettative, e allora quale spazio resta ai giovani per essere sé stessi?

Sono tanti i ragazzi che costruiscono un falso sé, come direbbe il celebre pedopsichiatra D. W. Winnicott, e che passano il tempo a cercare di diventare ciò che sanno di dover essere. E che a un certo punto non devono soltanto fare i conti con il crollo dell’ideale infantile, ma anche con la necessità di capire chi sono, dove stanno andando, e quale sia il senso di ciò fanno o provano a fare. Non hanno bisogno che si dica loro chi sono (l’identità non è eterodeterminata), ma come fare per convivere con le proprie fratture in un mondo in cui nessuno sembra più avere il diritto di essere fragile. Non hanno bisogno che qualcuno spieghi loro come comportarsi, ma come si fa a rimanere autentici: parole che non vengano sistematicamente contraddette dai comportamenti, e talvolta anche un “ti chiedo scusa” non solo per ciò che avevano diritto di ricevere (e che non hanno ricevuto), ma anche per ciò che si sono sentiti imporre (senza averlo mai domandato).

Ma per capire tutto ciò, forse, bisognerebbe avere il coraggio di fare un passo indietro. Non per sparire e ignorare i propri figli, ma per esserci quando loro chiedono il nostro aiuto e non soffocarli quando loro, invece, sanno perfettamente come comportarsi o proteggersi da soli.

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