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Famiglie devastate e sogni spezzati sui cieli di Washington. Contro un cielo limpido, in una serata tranquilla e senza vento, il ruggire dei motori di un jet proveniente dal Kansas viene sopraffatto da un boato assordante, e poi dal silenzio della morte. Il volo della American Airlines che portava nella capitale decine di persone, tra cui un gruppo di giovani atleti, stava allineandosi alla pista numero 33 dell’aeroporto Ronald Reagan di Washington per atterrare, mercoledì sera, quando è stato spezzato in tre per un impatto con un elicottero militare, ed è precipitato nelle acque del fiume Potomac. Erano le 20.48, pochi minuti prima una passeggera aveva mandato un sms al marito: «Stiamo per atterrare, non vedo l’ora». Sul jet della serie CRJ viaggiavano 60 persone, due piloti e due assistenti di volo. Sull’elicottero Black Hawk tre soldati che stavano concludendo un’esercitazione di pilotaggio notturno. Nessuno è sopravvissuto, anche se lo scontro è avvenuto a bassa quota, appena cento metri, e per un po’ si era sperato che dentro le tre parti della fusoliera si potessero trovare passeggeri ancora in vita. Trecento soccorritori sono subito arrivati sul luogo della catastrofe, decine di sommozzatori si sono calati nelle acque torbide e gelide del fiume, ben sapendo che con quella temperatura il rischio di morte da ipotermia è elevato, con pochi minuti di margine prima che il corpo perda sensibilità e le funzioni vitali inizino a cedere.
I SOCCORSI
A complicare le operazioni di soccorso anche il fatto che il Potomac è noto per avere una corrente molto impetuosa, e c’era quindi il rischio che frantumi dell’aereo e del Black Hawk venissero trasportati via. Elicotteri della Guardia Costiera e decine di imbarcazioni della polizia e di varie agenzie si sono assembrate per illuminare il lavoro dei soccorritori. Ma i primi corpi estratti dalla fusoliera erano senza vita, e dopo sole poche ora è stato chiaro che non c’erano più speranze. Ieri mattina la conferma del capo dei vigili del fuoco, che ha annunciato: «Siamo passati ufficialmente da un’operazione di salvataggio a una di recupero. Non ci sono segnali che indichino la presenza di sopravvissuti». E a quel punto è cominciata la girandola delle ipotesi, complicata ieri anche dall’intervento dello stesso presidente Donald Trump che ha lanciato accuse e sollevato sospetti sul lavoro dei controllori di volo senza avere nessuna solida base per sostenerle. Il nuovo ministro dei Trasporti, Sean Duffy, letteralmente al suo primo giorno alla guida del ministero ha reagito: «La sicurezza è una nostra aspettativa. Tutti coloro che volano nei cieli americani si aspettano che si voli in sicurezza, che quando si parte da un aeroporto si arrivi a destinazione. Questo non è successo ieri sera, e so che non ci fermeremo finché non avremo risposte per le famiglie e per il pubblico che vola».
LE INDAGINI
L’ipotesi di un errore dei controllori di volo, o dei piloti dell’elicottero non è da escludere. È una protesta mille volte ripetuta che non ci sono sufficienti controllori di volo, e che quelli che ci sono devono seguire un traffico aereo in continua crescita, che a Washington è tra i peggiori di tutti gli Stati Uniti. L’aeroporto Ronald Reagan infatti è letteralmente in città, e il sovraffollamento per l’appunto aumenta proprio nelle ore serali: alle 23 difatti scatta un divieto di atterraggio che vale fino alle 5 del mattino, e quindi le ore della sera vedono un susseguirsi di aerei, in fila sui cieli della capitale. Durante l’incidente il controllore che gestiva gli elicotteri nelle vicinanze dello scalo stava dando anche istruzioni agli aerei che atterravano e partivano dalle sue piste. Un lavoro che generalmente è assegnato a due controllori e non a uno. «Il personale della torre di controllo non era a livelli normali per l’ora del giorno e il volume del traffico» ha scritto il New York Times citando il rapporto preliminare della Federal Administration Aviation. Dall’altra parte del fiume c’è la Joint Base Anacostia-Bolling (JBAB), una base militare sulla riva del fiume Anacostia, vicino alla confluenza con il fiume Potomac. La base ospita unità dell’Aeronautica e della Marina degli Stati Uniti, per cui è frequente vedere nella zona aerei di linea che condividono il cielo con elicotteri militari e civili. Ma gli aerei dovrebbero avere dei loro corridoi dedicati, ai quali i militari non possono accedere. Resta il fatto che mercoledì sera al volo della American Airlines che arrivava da Wichita, nel Kansas, è stato ordinato di cambiare pista di atterraggio e allinearsi alla pista 33. Nel frattempo, il Black Hawk stava eseguendo nella stessa area una esercitazione di pilotaggio notturno, secondo quanto ha comunicato il nuovo ministro della Difesa, Pete Hegseth. L’equipaggio, composto di tre soldati, è stato definito da Hegseth come «altamente preparato».
LA RICOSTRUZIONE
Tuttavia il ministro ha confermato che i tre indossavano i Night Vision Goggles, i visori notturni che hanno vantaggi e svantaggi. E fra questi ci sarebbe la possibilità di una visione ridotta o di una percezione alterata delle distanze. E qui interviene la registrazione fra la torre di controllo e il pilota dell’elicottero, con il controllore che chiede: «Black Hawk, hai in vista il CRJ in avvicinamento?», il pilota che risponde: «Sì, lo vedo», il controllore che avverte «Black Hawk, passa dietro l’aereo». Ma non c’è alcuna conferma registrata che l’elicottero abbia ricevuto e compreso il messaggio, e che abbia visto proprio l’aereo in questione e non uno simile, anch’esso in avvicinamento. Immediatamente difatti un altro pilota si accorge dell’incidente e avvisa la torre di controllo: «Torre, avete visto?» e il controllo del traffico aereo dichiara l’emergenza: «Crash, crash, crash! Questo è un allarme livello tre». “Allarme tre” è la massima emergenza dichiarabile in ambito aeronautico: significa incidente confermato con vittime probabili e necessità immediata di soccorsi di massa.