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ROMA. A Montecitorio tira una brutta aria. I pochi deputati del centrodestra presenti alla seduta di lunedì celano a fatica l’insoddisfazione. Che il clima non fosse buono era chiaro già negli ultimi giorni, ma i distacchi nettissimi subiti a Firenze e Bari, oltre alla sconfitta di Perugia, fanno male nonostante i comunicati autoconsolatori diffusi dai partiti in serata. Difficile trovare un punto d’osservazione dove lo scenario di queste amministrative dia qualche motivo per essere ottimisti. D’altronde i ballottaggi per il centrodestra sono sempre stati un problema. E come dopo ogni sconfitta, anche questa volta sale la tentazione di intervenire sulla legge elettorale per eliminarli.
A rilanciare la discussione sul tema è il presidente del Senato Ignazio La Russa: «Occorre ripensare a una legge elettorale per le amministrative, perché il doppio turno non è salvifico. Anzi, incrementa l’astensione». La Russa parla del voto nei Comuni, ma l’argomento è vivo anche nella discussione appena iniziata intorno alla legge elettorale per il premierato. E l’ipotesi che circola nel centrodestra per la legge elettorale nazionale è la stessa che propone La Russa per il voto nei Comuni: «Il doppio turno siciliano», dove si va al ballottaggio solo nel caso in cui nessuno ottenga il 40% dei consensi. Giorgia Meloni però non sembra convintissima di intervenire sulla legge elettorale per eleggere i sindaci. «Dopo un risultato non esaltante ai ballottaggi, daremmo un’impressione sbagliata eliminandoli o modificandoli», ragionano anche dentro Forza Italia. E poi, aggiungono, «si aprirebbe un’altra battaglia con il Pd, dandogli benzina in un momento in cui sta andando bene». Insomma, difficile ci si muova.
Un tentativo più convinto c’era stato negli ultimi mesi, da parte degli uomini di Antonio Tajani. In attesa della riforma del Testo unico per gli enti locali, un lavoro che non vedrà la luce a breve, gli azzurri avevano avviato una discussione ad uno dei tavoli per le amministrative formati dai delegati dei vari partiti. «Dobbiamo farlo a breve» era stato l’accordo informale preso in quelle riunioni, nelle quali si dovevano decidere i candidati della coalizione. Ma quando tutto sembrava pronto è arrivato lo stop di Fratelli d’Italia: «Se applichiamo la soglia del 40% al primo turno, perdiamo subito a Firenze e invece al ballottaggio ce la possiamo giocare», spiegava in quei giorni Giovanni Donzelli, responsabile dell’organizzazione di FdI, grande sponsor della candidatura di Eike Schmidt. Invece, a Firenze, è andata malissimo. E peggio è andata a Bari: dopo le inchieste della magistratura, la maggioranza aveva attaccato in modo aggressivo la giunta a guida Pd, ma prima l’ex sindaco Antonio Decaro ha incassato il record di preferenze alle Europee e ora è anche arrivato un plebiscito per il candidato sindaco del centrosinistra. «La strategia aggressiva che molti di noi hanno tentato a Bari si è rivelata un disastro», ammette un parlamentare di peso forzista.
Altro elemento di preoccupazione viene osservando i risultati sulla cartina geografica. Proprio in quelle Regioni che andranno a breve al voto, la destra ha subito sconfitte dolorose. In particolare, aver perso a Perugia appare un cattivo viatico per affrontare le elezioni in Umbria, previste per il prossimo autunno. La candidatura dell’attuale governatrice, la leghista Donatella Tesei, è stata garantita a Matteo Salvini dagli alleati, ma i sondaggi non lasciano nessuno tranquillo. Stesso discorso per la Toscana, dove la coalizione deve ancora trovare il nome pronto a sfidare Eugenio Giani e qui, evidenziano dentro Fratelli d’Italia, su 185 Comuni al voto, 143 sono andati al centrosinistra. Feudi rossi, certo, ma l’ambizione era quella di conquistarli. Ora, con questi risultati alle amministrative, la strada si fa in salita.
Le grane non sono finite. La Lega accende un riflettore sullo «straordinario en plein in Veneto». È il dato che più sottolinea: un modo per far sapere a Meloni che non ha alcuna intenzione di cedere a Fratelli d’Italia l’indicazione del prossimo governatore. Salvini vuole un leghista e tra i leghisti si continua ad agitare persino la minaccia di correre da soli, se gli alleati non faranno un passo indietro. Nervosismi. D’altronde, a questo giro di amministrative, si fa fatica a vedere il bicchiere mezzo pieno, ognuno gioca sulla difensiva e il nervosismo cresce. «Fortuna che abbiamo vinto a Lecce, dove nessuno se l’aspettava – commentano da FdI –, altrimenti sarebbe stato davvero complicato sostenere che non sono andate male».