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La Fed taglia di nuovo i tassi di interesse, giù di 25 punti

5 giorni fa 1
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La Federal Reserve taglia i tassi d’interesse per la seconda volta dell’anno. Dopo la sforbiciata da mezzo punto percentuale di metà settembre, arriva quella dello 0,25% a due giorni dalla tornata elettorale che ha sancito il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Il presidente della Fed, Jerome Powell, continua il percorso di normalizzazione, sottolinea la solidità dell’economia domestica e rimarca che ogni decisione sarà presa di riunione in riunione in base ai dati. Un approccio che però dovrà tenere conto della politica economica fatta di dazi e neoprotezionismo della nuova Amministrazione che si insedierà il prossimo 20 gennaio. La preoccupazione è un nuovo sussulto dell’inflazione domestica.

La lunga corsa elettorale americana non cambia i piani della Fed. Dopo la prima sforbiciata di fine estate, arrivata a grande richiesta dei mercati finanziari, gli investitori si aspettavano una nuova mossa. Così è stato. Un quarto di punto in meno a novembre, e porte aperte per ulteriori azioni. Molto dipenderà dalla vivacità dell’economia domestica, con il mercato del lavoro che resta solido e con una omogeneità occupazionale significativa. Il numero uno della Fed vuole però vederci chiaro nelle prossime settimane, che saranno determinanti per valutare come agire nelle riunioni del 17 e 18 dicembre. Il Federal open market committee (Fomc), il braccio operativo dell’istituzione monetaria, continuerà a valutare il sentiero senza vincolarsi a un percorso predefinito. In altre parole, ciò che sta facendo anche la Banca centrale europea. Troppe, secondo Powell, le incognite globali.

L’esito del voto statunitense avrà conseguenze indirette anche sulla banca centrale guidata da Powell. Johanna Kyrklund, capo degli investimenti di Schroders, ha pochi dubbi su quelle che saranno le prossime mosse della Fed, che potrebbe essere costretta a tirare il freno a mano più di quanto ipotizzato finora. “Dato che riteniamo che il tasso neutrale si aggiri intorno al 3,5%, il ritorno di Trump alla Casa Bianca probabilmente significa che la Fed dovrà mantenere i tassi al di sopra di questo livello”, spiega. Tradotto: meno sforbiciate al costo del denaro.

A pensarlo è anche Lee Ferridge, numero uno della strategia macroeconomica nordamericana di State Street Global Markets. Secondo cui «sia i dazi che l’immigrazione sotto Trump avranno un impatto più immediato sul percorso politico della Fed, con le aspettative sui tassi terminali che sono già salite di 14 punti base con i risultati delle elezioni, lasciando le stime di 80 punti base più elevate rispetto alle stime di lungo periodo degli economisti». Occhi puntati sui nuovi rincari che potrebbero giungere dalla politica commerciale aggressiva per gli economisti di Amundi. I quali sottolineano che «l’aumento dell'inflazione e un atteggiamento più hawkish da parte della Fed comporteranno rischi per gli investimenti nell’obbligazionario, sostenendo al contempo il dollaro nel breve periodo”. In questo contesto, rimarcano, «l’inasprimento delle condizioni finanziarie si trasmetterà in tutto il mondo, con i mercati asiatici particolarmente vulnerabili a causa dell'ulteriore shock derivante dall'aumento delle tariffe doganali».

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