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La lezione di Oriana Fallaci su Patria e Cristianità

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Antonio Socci 06 gennaio 2025

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L’Italia dovrebbe finalmente fare i conti con il “caso Fallaci”. È stato rimosso da tempo, ma la realtà si incarica periodicamente di farcene sentire la ferita sempre più dolorosa.
Come ha scritto ieri il direttore Mario Sechi, ventitré anni dopo il drammatico grido di Oriana Fallaci sugli attentati dell’11 settembre 2001, che in forma di libro titolò La rabbia e l’orgoglio, ci troviamo ancora - e sempre più - di fronte all’inquietante realtà dell’Islam. Che si tratti del regime iraniano che ha chiuso in carcere senza motivo Cecilia Sala (e opprime le donne iraniane) o di quello che sta accadendo in Siria e in Israele. O che si tratti delle tensioni create (anche a Capodanno) da un’immigrazione musulmana di massa in Italia e in Europa (la Fallaci parlava di «pionieri dell’islamizzazione»).

È un’immigrazione incontrollata che in questi ventitré anni è cresciuta a dismisura e ha cambiato il volto delle nostre città e la nostra vita proprio perché tutti gli avvertimenti profetici della Fallaci (si ricordi la storia della tenda di immigrati piantata davanti al Duomo di Firenze) sono stati ignorati o sprezzantemente rifiutati. Per quale motivo? Anzitutto per la cecità politica e la superficialità di chi non ha voluto mai riconoscere che gli esseri umani e i popoli non sono merci che si possono spostare da un capo all’altro del pianeta senza problemi. Gli uomini e i popoli sono un mondo, si portano dietro la loro cultura, i loro costumi, la loro religione, le loro idee. Perciò trasferirli in massa in popolosi Paesi che hanno una loro storia, una civiltà antica, una mentalità e dei costumi molto diversi- spesso antitetici - è un’operazione drammatica, dolorosa, perfino impossibile se quanti arrivano (a milioni) non intendono rinunciare alla propria cultura e chi vede arrivare questo fiume di immigrati in casa propria non intende rinunciare alla sua identità, alla sua cultura e alla sua mentalità occidentale (laica e/o cristiana). Infatti Giovanni Sartori, uno dei pochi intellettuali che difese la Fallaci, spiegava: «In Europa se l’identità degli ospitati resta intatta, allora l’identità da salvare diventa, o diventerà, quella degli ospitanti».

SCELTE INELUTTABILI
Si tratta perciò di decidere cosa vogliamo fare della nostra cultura, della nostra identità, della nostra libertà e della nostra civiltà giuridica. Ci sono zone delle città europee che sembrano già oggi quartieri del Cairo. Stati dentro lo Stato. Certi progressisti ripetono da anni che «non si può fermare il vento con le mani» e l’emigrazione è un fenomeno ineluttabile: se così fosse dovremmo rassegnarci alla resa e accettare che la nostra civiltà non abbia un futuro. Chi sostiene questa tesi vuole questo? Lo dica. Così, scriveva la Fallaci, «al posto delle campane ci ritroviamo i muezzin, al posto delle minigonne ci ritroviamo il chador anzi il burkah, al posto del cognacchino ci ritroviamo il latte di cammella». Ma per fortuna l’immigrazione incontrollata non è affatto un destino ineluttabile, ma si può governare e ridurre al minimo (come fecero Salvini e Minniti da ministri dell’Interno). Si può riprendere il controllo delle nostre città e si possono integrare nella nostra civiltà gli stranieri che davvero vogliono integrarsi. L’ideologia immigrazionista è anche coltivata in sedi internazionali che vorrebbero rifilarci il multiculturalismo e mitologie politiche per cui le parole patria o identità o interesse nazionale sono come la peste bubbonica. La giornalista toscana Oriana Fallaci, subito dopo gli attentati dell’11 settembre diede alle stampe il pamphlet La rabbia e l’orgoglio col quale denunciava i pericoli di un’invasione islamica in tutto l’Occidente. Un’eventualità che avrebbe messo in ginocchio la nostra civiltà sostituendola con i precetti del Corano e dell’islam più radicale. I fatti di questi giorni (ma non solo) le stanno danno ragione.

A lato il titolo dell’editoriale di sabato a firma Mario Sechi, che ricorda agli smemorati proprio la lezione, da troppi dimenticata, di Oriana Fallaci (Lapresse) Invece la Fallaci era intimamente e fortemente legata alla “Patria”: La rabbia e l’orgoglio è tutto un inno al patriottismo in cui era cresciuta. Nella sua autobiografia scrive: «Grazie a mio padre, membro del CLN clandestino e partigiano delle Brigate Rosselli, avevo preso parte alla Resistenza come un’adulta (era una ragazzina nata nel 1929, ndr), nel 1945 ero stata congedata dal Corpo Volontari della Libertà (aggregato all’esercito italiano) col grado di soldato semplice ed ora appartenevo al Partito d’Azione dove incontravo uomini straordinari: Piero Calamandrei, Ferruccio Parri, Leo Valiani, Emilio Lussu, Arnaldo Foà». Questo è un aspetto singolare del “caso Fallaci”. Oriana a 14 anni, con un coraggio impressionante, aveva fatto la staffetta partigiana e poi aveva militato del Partito d’Azione: da lì veniva il suo acceso patriottismo risorgimentale. Di una come lei (diventata in seguito una giornalista straordinaria di fama mondiale) la sinistra avrebbe dovuto essere fiera. Invece l’ha rinnegata e “scomunicata”.

SANO PATRIOTTISMO
D’altra parte il suo “patriottismo” non aveva solo un significato politico, ma anche culturale e spirituale. Scriveva della sua Firenze: «Sono nata in un paesaggio di chiese, conventi, Cristi, Madonne, Santi. La prima musica che ho udito venendo al mondo è statala musica delle campane. Le campane di Santa Maria del Fiore... È in quella musica, in quel paesaggio, che sono cresciuta. È attraverso quella musica e quel paesaggio che ho imparato cos’è l’architettura, cos’è la scultura, cos’è la pittura, cos’è l’arte, cos’è la conoscenza, cos’è la bellezza. È attraverso quella chiesa (presto rifiutata ma inevitabilmente rimasta dentro di me cioè dentro la mia cultura) che ho incominciato a chiedermi cos’è il Bene, cos’è il Male, se il Padreterno esiste o non esiste». Sebbene anticlericale ci ha insegnato l’amore struggente alle nostre radici cristiane, alla nostra cultura. Perciò si definiva “atea cristiana”. Monsignor Rino Fisichella, che le fu vicino negli ultimi giorni e l’aveva accompagnata a un incontro con Papa Ratzinger, ha raccontato: «Lei ammirava moltissimo Benedetto, lo riteneva una delle poche personalità all’altezza sulla scena di un’Europa addormentata, imbambolata, in letargo. Oriana amava Ratzinger che, senza tanti giri di parole, ripeteva all’Europa: svegliati, ritrova le tue radici, riscopri la tua identità. Fu in questo senso che arrivò a dire di non potersi non ritenere culturalmente cristiana». Anche questo è il “caso Fallaci” e pone domande scomode alla sinistra, ai laici e ai cattolici.
www.antoniosocci.com 

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