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Non si lavora solo per i soldi. La stragrande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori italiani infatti lavorerebbe anche se non avesse bisogno dello stipendio. Molte ricerche lo dimostrano. È forse con questa convinzione – presa troppo alla lettera – che l’attuale governo si pone nelle trattative ai tavoli per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici. Non sembra infatti che vi sia l’intenzione del datore di lavoro pubblico ad alzare le retribuzioni dei propri impiegati adeguandoli all’inflazione che, come è noto, negli ultimi anni è aumentata in maniera significativa raggiungendo livelli storicamente elevati.
Questa linea politica, sebbene consenta di contenere la spesa pubblica, è particolarmente miope per diverse ragioni. Possiamo ricordarne almeno tre, particolarmente rilevanti.
La prima ha a che vedere con l’impoverimento degli occupati. Purtroppo, è ben noto che gli stipendi italiani siano tra i più bassi in Europa, nonché tra i pochissimi che negli ultimi decenni hanno visto perdere il loro valore reale. Il divario tra inflazione e aumento dei salari porta infatti alla diminuzione del potere di acquisto e quindi a un peggioramento delle condizioni degli occupati. È evidente per tutti coloro che fanno la spesa, pagano l’affitto e le bollette o devono sostenere costi di trasposto. Uno stipendio che qualche anno fa consentiva di vivere senza lussi ma senza privarsi del necessario se non viene adeguato all’inflazione porta facilmente all’esclusione da uno standard di vita accettabile o all’indebitamento. Siamo già uno dei paesi in Europa con il più alto tasso di lavoratori poveri, non adeguare gli stipendi non può che far aggravare questo dato.
La seconda miopia riguarda il calo dei consumi con conseguenze per tutti. Un minore potere d’acquisto di individui e famiglie significa riduzione delle spese. Molti nuclei che affrontano difficoltà economiche tendono infatti a rivedere i propri modelli di consumo. La priorità viene data ai beni fondamentali, riducendo la spesa per i prodotti e servizi che non sono ritenuti tali. Ad esempio, le attività di intrattenimento, cinema e teatri, ma anche gli abbonamenti nelle palestre, le vacanze e i pasti fuori casa. Non adeguare i salari può avere impatti rilevanti su molti settori specifici dell’economia.
La terza considerazione che mostra la scarsa lungimiranza di questa posizione politica si riferisce al valore del lavoro in questo settore. Viene meno la consapevolezza della res publica. Le attività del pubblico impiego sono un contributo alla società. Lo sono sia nel suo funzionamento sia nel fornire servizi fondamentali per la cura e la crescita delle persone. Si tratta di riconoscere che l’apparato pubblico nel suo insieme garantisce il benessere della collettività. E per funzionare ha bisogno di forza lavoro di cui bisogna riconoscerne il valore. Inoltre, alcuni studi che mettono a confronto i lavoratori del settore pubblico e quelli del settore privato hanno mostrato come i primi siano più consapevoli di quello che è il bene pubblico e siano più disposti a dedicarsi a perseguirlo.
Questo atteggiamento conferma che nel lavoro le persone valutano molti aspetti. Non si lavora solo per i soldi, come detto in apertura. Tuttavia, ciò non toglie che la quasi totalità degli occupati abbia ancora la necessità di un reddito per vivere e il lavoro vada adeguatamente retribuito perché consenta di farlo dignitosamente.