ARTICLE AD BOX
WASHINGTON. «È ingenuo dire che Trump darà a Putin quel che vuole». A parlare è un ex collaboratrice del tycoon che al momento non è coinvolta nel transition team ma che ha contatti serrati con lo staff che attorno al presidente eletto sta gettando le basi per un approccio verso l’Ucraina (e la Russia) differente da quello mantenuto dall’Amministrazione Biden.
Il Wall Street Journal giovedì ha riferito di un piano che i collaboratori di Trump stanno elaborando: prevede centinaia di chilometri di zona demilitarizzata e il divieto per Kiev di aderire alla Nato in cambio dell’impegno Usa a difendere Kiev, ma il tycoon - a quanto risulta a La Stampa - sta valutando diverse opzioni e non ha ancora deciso quale strada, nei dettagli, imboccare. Ci sono anche altre spinte, come quella di premere l’Ucraina a negoziare pena la «sospensione degli aiuti». È una soluzione sponsorizzata dal generale Keith Kellogg, che fu consigliere di Mike Pence e potrebbe rientrare alla Casa Bianca dal think tank Afpi (ridotta trumpiana dal 2021), ma che Trump non avrebbe per ora sposato. Un’opzione, si nota, è quella di ripartire da alcune parti degli accordi di Minsk, quelli del 2014 e rinnovati nel 2015, che prevedevano zone di autodeterminazione - mai in realtà riconosciute da Kiev -, cessate il fuoco bilaterale, monitoraggio da parte dell’Osce, ritiro dei gruppi di mercenari.
Fonti a lui vicine dicono che «Trump non abbandonerà l’Ucraina». La chiave dovrebbe restare, pur se mitigata, che nulla avverrà al di sopra o alle spalle di Kiev, una formulazione più accorta ma in linea con «niente sull’Ucraina senza l’Ucraina», diventato il mantra di Antony Blinken.
La sostanziale differenza rispetto a Biden è la determinazione di «dare ai negoziati una chance», riferisce la nostra fonte, che precisa come l’America voglia un maggior coinvolgimento degli europei. I costi del conflitto non potranno gravare sui contribuenti Usa. Quando a fine gennaio i fondi dell’Ukraine Supplemental Appropriations Act saranno finiti ci sarà un nuovo Congresso che vorrà vedere un cambio di strategia concreto prima di staccare nuovi assegni.
Trump mercoledì ha parlato con Zelensky. Era presente anche Elon Musk, che in teoria non avrà alcun ruolo sulla politica estera nella futura Amministrazione, ma che essendo il patron di Starlink, ovvero la società che tramite una rete di satelliti garantisce Internet veloce ai soldati sul campo di battaglia, pesa negli equilibri in maniera evidente.
La telefonata è durata 25 minuti e secondo Axios, Zelensky è uscito rinfrancato dal confronto. Dietro le quinte i contatti fra le parti sono in corso e il concetto che gli Usa non abbandoneranno Kiev è stato recepito dal leader ucraino con sollievo.
Nulla avverrà rapidamente e la guerra non finirà in un attimo. La situazione è complessa, dice Josh Rudolph del German Marshall Fund. Un paragone che viene fatto fra lo iato che c’è fra proclami e realtà è il caso Iran: Trump nel 2016 impegnò 16 mesi per uscire dall’accordo sul nucleare.
Lo stesso mondo Trump riconosce che nulla di concreto accadrà prima del 20 gennaio quando il repubblicano s’insedierà.
Nel frattempo, Biden ha autorizzato l’impiego di contractor militari sul suolo ucraino. Potranno favorire e accelerare le operazioni di manutenzione e riparazione degli armamenti accorciando sensibilmente i tempi. È una decisone che pone Washington ancora più vicino alla collisione con la Russia.
Trump lo scorso dicembre aveva detto che in 24 ore avrebbe chiuso il conflitto ucraino. Concetto ripetuto spesso in campagna elettorale e liquidato dall’opposizione, da parte dell’opinione pubblica e dai preoccupati europei come un modo per dire che avrebbe svenduto l’Ucraina ai desiderata di Putin. L’idea di Trump non sarebbe però esattamente questa.
Anche analisti indipendenti come Melinda Haring dell’Atlantic Council, concordano evidenziando che Trump fu il primo leader Usa a dare Javelin e armi gli ucraini e a porre sanzioni ai russi per l’annessione della Crimea, superando le timidezze di Obama. «Questa è una realtà che non possiamo ignorare», «Trump premerà per i negoziati», aggiunge, ma quale direzione la sua Amministrazione prenderà dipende anche dagli uomini che circonderanno il tycoon. Uno degli architetti della strategia sarà Richard Grenell, papabile anche per la guida del Dipartimento di Stato, e presente alla telefonata di mercoledì con Zelensky e Musk. Parlando con La Stampa, l’ex ambasciatore in Germania, ha sottolineato che Trump ricorrerà «alle credibili minacce», farà leva su alcune cose per indurre le parti a dialogare. Come l’economia. Uno degli esempi è quello cui ricorre Kurt Volker, già ambasciatore alla Nato e inviato di Trump per l’Ucraina nella prima Amministrazione. L’idea è quella di riversare sui mercati quantità di petrolio e di gas tali da far crollare il prezzo e infliggere perdite all’economia russa. Grenell è un sostenitore dei contatti diretti con Putin, «è inconcepibile che Biden mai in tre anni e mezzo abbia parlato con il Cremlino». Prima dei piani di pace servirà, la sua teoria, riallacciare questo canale.