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La sindrome di Otello e l’ossessione dell’amante segreto

6 mesi fa 6
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Schiaffi e pugni, uno dopo l’altro, Pasquale Perfetto, 72 anni, colpiva la moglie Eleonora senza remore nella loro umile casa a Cusano Mutri, un presepe di 3.700 anime in provincia di Benevento. Un pestaggio incessante fino a quando Eleonora, dieci anni più giovane, cadeva a terra, priva di vita. Pasquale voleva regolare i conti, convinto che in passato la donna lo avesse tradito. Le rinfacciava diversi amanti, lei negava e lui alzava la voce fino a quel 19 giugno 2001 quando la sindrome di Otello è esplosa. È noto come la gelosia possa condizionare la vita psichica di soggetti instabili, arrivando a devastare le loro esistenze e condizionare i rapporti affettivi, fino a sfociare in violenza con lo stalking, il suicidio o l’omicidio.

All’origine di gran parte dei femminicidi c’è infatti proprio la gelosia che comunemente può divampare in caso di pericolo di separazione e quindi perdita del “possesso” e controllo dell’altro, ma non tutte le gelosie sono uguali, anzi. Nella sindrome di Mairet, ad esempio, si assiste a una gelosia ossessiva che porta il soggetto a ritenersi tradito e a cercare ogni giorno prove di questo dubbio che cadenza l’orologio quotidiano. La verifica della presunta infedeltà, la ricerca di elementi che possano confermarla o smentirla, trasformano chi ne patisce in un investigatore che dedica ogni sua giornata e forza al raggiungimento di questo obiettivo. La moglie viene interrogata, reinterrogata, pedinata. Vengono verificati i racconti, richieste videochiamate a conferma del luogo dove la vittima afferma di essere. Si tratta di azioni simili a quelle provocate dal disturbo ossessivo-compulsivo ma mosse dal dubbio e indirizzate ad alimentarlo in un circolo vizioso senza uscita. È uno stallo, ma il soggetto non lo percepisce come tale. Anzi, ritiene che con l’ultima prova avrà il quadro certo ma l’analisi dell’abbigliamento, il controllo della biancheria intima non daranno mai risposte definitive. E quindi in modo compulsivo e bulimico si cercheranno altri indizi.

Invece, Pasquale Perfetto era convinto che Eleonora l’avesse tradito anni e anni prima. Rievocava vicende indietro nel tempo, risalenti anche a trent’anni addietro. Non era affetto dalla sindrome di Mairet per il semplice fatto che non cercava prove dei tradimenti, li dava per scontati. Infatti, era affetto dalla sindrome di Otello, ovvero dall’assoluta certezza che Eleonora avesse avuto più amanti segreti. Pasquale si era spinto anche oltre nel disturbo delirante di tipo geloso, arrivando ad asserire che uno dei loro figli non era frutto del loro amore, del matrimonio ma di una relazione clandestina. Sua moglie aveva provato a rispondergli in ogni modo, ma aveva poi capito che era solo una sterile e distruttiva perdita di tempo.

Secondo alcuni recenti studi condotti dall’università di Pisa e pubblicati negli Usa, questa gelosia delirante dipende da uno squilibrio nella corteccia frontale ventro-mediale dove si concentrano processi cerebrali complessi nella sfera della conoscenza e degli affetti. Secondo questi studiosi che hanno analizzato soprattutto pazienti affetti dal morbo di Parkinson, lo scompenso rende la gelosia un’ossessione dagli effetti violenti imprevedibili. Ma la scienza ha ancora molta strada da compiere prima di arrivare a certezze nelle diagnosi e contribuire in modo decisivo alla prevenzione di reati ed omicidi. Tra l’altro, questo disturbo psicopatologico non prevede nel “colpevole” un ruolo dinamico, ovvero la negazione del tradimento, ma solo l’ammissione della colpa. Con all’orizzonte un rischio latente: quando la moglie confessa il falso per accondiscendere può scattare l’imprevedibile, la mente può andare in cortocircuito facendo scattare la reazione vendicativa.

Ne sanno qualcosa i parenti di Orietta Santinelli, 27 anni, una donna semplice che credeva nella sua famiglia, sposata con l’operaio di origine pugliese Michele Cappabianca e mamma di due bambini di 7 e 2 anni a Chiaravalle, in provincia di Ancona. Il rapporto era difficile, Michele picchiava sia la moglie, sia i bambini. A un certo punto nell’inverno del 2000 Michele si convince che la donna lo tradisca. Per settimane il marito l’assilla chiedendole di ammettere la storia clandestina, di confessare l’identità dell’amante. Lei nega, giura e ripete, poi alla vigilia della notte di san Silvestro, stremata, ammette, gli dà ragione: «Sì ti tradisco». È convinta di chiudere la questione, invece, la situazione precipita. Cappabianca afferra un coltello a serramanico e colpisce più volte la moglie, alla gola, allo stomaco. Il figlio più grande si spaventa, intuisce qualcosa ma il padre lo tranquillizza dicendogli che la mamma si era spaventata guardando la tv. Michele rimane annichilito per quanto ha fatto, ma non è pentito, posa l’arma e chiama i carabinieri, indicando l’indirizzo di casa. Due telefonate agghiaccianti: nella prima confessa l’omicidio ma appunto non spiega dove si trova, poi richiama. «Adesso potete venire tanto non riuscirete a salvarla», afferma, ingenerando il sospetto che l’uxoricida abbia atteso la morte di Orietta prima di fornire l’indirizzo ai carabinieri. Arrivano i militari e lui si mostra spavaldo: «Glielo avevo detto che l’avrei ammazzata» spiega agli inquirenti, mostrando anche l’intenzione di uccidere il presunto amante della donna. I giudici gli infliggono trent’anni di carcere, scoprendo che aveva già dei precedenti: come a 26 anni quando rimase in panne con l’auto in una zona periferica di Ancona si scagliò contro gli agenti della volante che si era fermata per capire cosa fosse accaduto. Stesse scene in questura dove distrusse diverse suppellettili e sfondò una vetrata con una testata. In appello la pena scende a vent’anni: i giudici escludono le aggravanti della crudeltà e delle sevizie, ritenendolo così responsabile di omicidio volontario non premeditato, aggravato dal vincolo coniugale.

Dopo dodici anni dietro le sbarre, l’assassino appare ai medici dell’istituto penitenziario e agli educatori come un altro uomo, un’altra persona. Sembra cambiato, segue le indicazioni, interagisce con le dinamiche della vita carceraria, è preciso, insomma appare un detenuto modello. E così ottiene permessi premio per buona condotta, ma si scoprirà che è tutta una finta: simula, dissimula, finge. Di quel papà che costruiva la sua famiglia non c’è più niente; e così un giorno, proprio durante un permesso per raggiungere una comunità a Vicenza, evade e sparisce. Si rifugia a casa di alcuni parenti a Capurso, in provincia di Bari, convinto di farla franca. Ma gli inquirenti poco dopo lo individuano e vanno a riprenderlo per riportarlo dietro le sbarre al carcere Due Palazzi di Padova dove stava scontando la pena. Passa qualche anno e Cappabianca torna alla ribalta delle cronache con l’accusa di essere tra i promotori della rivolta dei detenuti esplosa nel giugno 2015: con tre romeni aveva convinto gli altri detenuti a non rientrare nelle celle della sezione definitivi.

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