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La strategia del negazionismo

2 giorni fa 1
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Daniele Capezzone 03 gennaio 2025

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Alle 17.37 di ieri se n’è accorto tutto il mondo, quando Elon Musk ha ritwittato le stesse tristissime immagini di Piazza Duomo che Libero aveva scelto per la prima pagina. Milano violentata: con un’orda di magrebini, in un tripudio di bandiere tunisine, impegnati a gridare “vaffanculo Italia” e “polizia di merda”. A coadiuvarli c’erano soggetti di seconda generazione, che probabilmente hanno svolto più di qualche ciclo scolastico in Italia: e infatti si è visto quanto siano ben “integrati”. Reazione dei soliti noti? Ignorare tutto, far finta di niente, censurare la notizia praticamente ovunque (tranne Libero, ovviamente). Spostiamoci a Rimini. Un egiziano ha tentato di accoltellare quattro persone finché un carabiniere, dopo aver inutilmente cercato di fermarlo, gli ha sparato.

Ora purtroppo sarà il nostro uomo in divisa a dover fronteggiare guai giudiziari, mentre come il nostro giornale vi ha raccontato già ieri - l’attentatore aveva in tasca il Corano. Reazione dei soliti noti? Poverino, l’egiziano non stava bene, era psicolabile, andava aiutato. E il mix coltello più Corano? Non pare interessare quasi a nessuno. Trasferiamoci infine negli Usa, a New Orleans, per l’attentato Isis di cui sapete già molto, assai probabilmente collegato all’altra azione terroristica anti-Trump delle ore successive. Non vi sarà sfuggito che il giochino mediatico è stato quello di sempre: titolazione spersonalizzata (“auto sulla folla”, come se il pick up si fosse guidato da solo) e attenuazione del connotato islamista (“ombra dell’Isis”, ha titolato il Corriere: ecco, giusto un’ombra...). E allora siamo arrivati al cuore del problema, che è sempre il solito. Cos’hanno in comune ventiquattro anni di attentati, dalle Torri Gemelle al night club di Bali, dal treno di Madrid alla metro di Londra, da Mumbai a Charlie Hebdo, passando per il Bataclan di Parigi e per Bruxelles, fino alle scie di sangue più fresco e recente? Si è trattato sempre e solo di atti di terrore realizzati da islamici. Tutti gli islamici sono dunque terroristi? Certo che no. La gran parte dei terroristi degli ultimi vent’anni sono islamici? Certo che sì. È islamofobo dirlo? No: è sciocco e suicida bendarsi gli occhi per non vedere questa dolorosa ma evidente realtà. Questi racconti- sempre tragicamente uguali a se stessi- ci ricordano almeno tre cose. La prima, e si tratta di un copione davvero fastidioso, è il tentativo di derubricare la portata del fatto evocando i presunti «problemi psichiatrici» degli aggressori. Ma, in tutta franchezza, i problemi psichiatrici rischiamo di averli noi, se ancora, qui in Occidente, mettiamo in campo piccole tattiche per attenuare-attutire-smussare, per fingere di non aver capito ciò che invece è tragicamente sotto i nostri occhi. Qualcuno può ancora illudersi di andare avanti con la strategia della negazione, ma dovrebbe essere chiaro a tutti che abbiamo davanti una irrisolta questione islamista (prima o poi toccherà scrivere: islamica), in virtù della quale ci sono soggetti o gruppi radicalizzati pronti a colpire, a sgozzare, a uccidere.

Oppure (ma ciò non è più rassicurante: si pensi a Rimini o alla notte di Capodanno a Milano) c’è un fenomeno di immigrazione di massa con numeri elevatissimi di soggetti islamici che - per una ragione o per l’altra portano con sé questo genere di “effetti collaterali”. Vogliamo continuare a ingannarci, ad autocolpevolizzarci, a fare convegni sulla mancata o incompleta integrazione, oppure iniziamo a fare i conti con una realtà dolorosa ma innegabile? Il secondo tema da illuminare è quello dei soggetti segnalati come radicalizzati: molto spesso in Europa è accaduto che i responsabili di attentati gravi fossero già conosciuti e schedati (sia chiaro: non era e non è il caso di Rimini). Ora, chi scrive è un garantista, ma occorrerà - prima o poi - chiedersi se il nostro armamentario giuridico ordinario sia adeguato rispetto alla sfida del terrorismo fondamentalista. Nessuno vuole travolgere le garanzie costituzionali o sovvertire il principio della presunzione di innocenza: ma è evidente che, con questo tipo di rischi, lasciare in libertà soggetti con simili ombre di pericolosità è un azzardo che rischiamo di rimpiangere amaramente. Né si può puntare- in termini risolutivi - sulla pura e semplice sorveglianza delle persone “segnalate”. Il loro numero, in tutta Europa, è infatti altissimo, ed è inimmaginabile che per ciascuna di esse siano quotidianamente mobilitati 6-8 agenti, ai fini di un monitoraggio perpetuo, ventiquattr’ore su ventiquattro. E se a questo si somma la realtà delle procedure che consentono a un richiedente asilo un margine di 18-21 mesi prima che l’iter si esaurisca (tra domanda, reiezione, ricorso e diniego finale), tutti comprendiamo che esiste un numero elevatissimo di soggetti dalla pericolosità letale a cui stiamo offrendo una chance rischiosissima per la nostra convivenza pacifica. Resta dunque un’opzione che non piacerà a qualche anima bella, ma che mi pare di grande ragionevolezza (almeno verso chi non abbia cittadinanza di uno stato Ue): fluidificare e estendere i casi e le procedure di espulsione dai nostri territori (da ciascun paese e dall’Europa) dei soggetti segnalati. La terza e ultima questione da esaminare è quella strategica e geopolitica: il 7 ottobre ha tante facce. Forse abbiamo dimenticato l’appello di qualche mese fa - tramite Al Jazeera - al jihad globale, che in una forma o nell’altra sarà inevitabilmente raccolto da qualche soggetto in giro per l’Europa. Che si tratti di “lupi solitari” o meno, l’effetto rischia comunque di essere letale. Si tratta della stessa guerra combattuta in teatri diversi: c’è il teatro principale (in Medio Oriente), ma ci sono anche le nostre capitali, ed è illusorio fingere che non sia così. Anzi, quanto più gli estremisti perderanno terreno lì, tanto più cercheranno di produrre sangue e caos qui. E ormai non c’è città occidentale (al di là e al di qua dell’Atlantico) che possa dirsi estranea a questi rischi. Donald Trump l’ha capito perfettamente, e mette costantemente in relazione immigrazione illegale, rischio terrorismo, disordine e crimini nelle città. Sarebbe bene che lo comprendessimo anche noi. Prima che diventi troppo tardi.

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