Home SignIn/Join Blogs Forums Market Messages Contact Us

Leonardo Mattone scopre una malattia genetica grazie a un collega: «Mi ha salvato la vita»

1 giorno fa 1
ARTICLE AD BOX

Ha scoperto e sconfitto la sindrome di Brugada, la malattia genetica del cuore che ha probabilmente stroncato il nonno e il padre a cinquant’anni. Leonardo Mattone, 35enne di Ceccano, impiegato d’azienda farmaceutica, ha rischiato una morte cardiaca improvvisa sin da bambino. È stata salvifica la diagnosi fatta in piena pandemia da Carlo Pappone, luminare dell’elettrofisiologia. È il responsabile dell’unità operativa di aritmologia clinica del policlinico di San Donato Milanese. Leonardo gli si era rivolto nel marzo 2021. Glielo aveva consigliato un collega di Tecchiena, Fabrizio Volpari, padre di tre figli, a cui era stata diagnosticata la sindrome a oltre 50 anni.

Susanna Tamaro: «Io, perseguitata per il mio successo. Sono Asperger, non so se vivrò ancora molto, i miei sono morti a 70 anni»

Il racconto

«Mi ha salvato la vita un “angelo custode” - dice di lui Leonardo -. Quando Fabrizio mi ha parlato del rischio di morte improvvisa nel sonno, ho pensato subito a mio padre Nino, che non sapevamo di cosa fosse morto 15 anni prima. Devo ringraziarlo doppiamente, perché ci conoscevamo di vista ma è stato un vero amico».

Gli era tornato in mente anche il Natale 2020: «Dopo il cenone, passai alcune notti in bianco a causa di tachicardie. Un cardiologo mi disse che non era necessario fare controlli approfonditi a 32 anni. Diceva che era reflusso e sarebbe bastato fare attenzione all’alimentazione».

Invece era sindrome di Brugada, cardiopatia che colpisce una persona su duemila, dai bimbi in età di sviluppo fino ai giovani adulti. Leonardo, come Fabrizio, è stato salvato dall’ablazione dello strato aritmico con radiofrequenza. È un gruppo di cellule scoperto nel 2019 dal gruppo di ricerca guidato dal professor Pappone. Si trova attorno al cuore, all’altezza del ventricolo destro, e sprigiona improvvise “scariche” elettriche. All’elettrofisiologo sono bastati i risultati dell’elettrocardiogramma per la diagnosi di cardiopatia ereditaria. Il test all’ajmalina, farmaco antiaritmico, l’ha confermata senza alcun dubbio. «Lo abbiamo fatto sia io che mio fratello Giordano - racconta Leonardo -. Io sono andato in arresto cardiaco e lui no. Del resto, c’è il 50% di rischio di ereditare la sindrome da un genitore. Secondo l’esame genetico, fatto a giugno scorso, mio figlio Gabriele, 2 anni e mezzo, non ne soffre. Se fosse stato il contrario, però, io e mia moglie Serena avremmo saputo cos’è e come curarla».

Scopre un tumore: l’azienda non lo lascia a casa e lo paga per curarsi. La storia del 25enne Giuseppe Cannavale

L'impianto

Gli è stato dapprima impiantato un defibrillatore sottocutaneo, salvavita in caso di arresto cardiaco, per poi spazzare via le cellule anomale. «Oggi vivo una vita normale, viaggio e posso fare anche le immersioni - precisa Leonardo Mattone - Non ho grosse limitazioni se non gli sport di contatto, per via del defibrillatore». Nonno Gaetano, dopo alcune avvisaglie, morì d’arresto cardiaco all’età di 50 anni. Non li aveva neanche compiuti il padre Giovanni Battista, detto Nino, morto nel sonno nel 2006.

Il 49enne, operaio addetto al locale caldaie, fu trovato senza vita in uno stanzino dell’allora ospedale “Santa Maria della pietà” di Ceccano. Era seduto su una poltrona, come se ancora dormisse davanti alla televisione accesa. Faceva il turno di notte e non aveva risposto alle telefonate dei familiari. Si pensò a un infarto fulminante, fin troppo visto non aveva neanche provato a muoversi per prendere il cellulare a fianco a lui. «Quando è morto papà, ho cominciato a fare controlli frequenti - ripercorre Leonardo -. Mi hanno detto tutti che il mio cuore era sano fino alla diagnosi giusta. Ho sempre fatto sport, soprattutto la pallavolo. Il problema è l’anomalia elettrica che manda il cuore in blackout, in caso di febbre alta o colpi di calore, utilizzo di alcuni farmaci e droghe, o semplicemente a riposo dopo grandi sforzi. Ecco perché può succedere nel sonno, come a mio padre». Quando aveva 22 anni, colto da mononucleosi, Leonardo svenne sotto la doccia e si riprese solo dopo una secchiata d’acqua fredda in faccia. Sprona alla prevenzione: «Continuano a contattarmi tante persone che sanno già della mia storia e io cerco di consigliarli, senza creare allarmismo. La familiarità della malattia deve essere il primo campanello d’allarme. Se è già accaduto in una famiglia, non può definirsi un caso, perché potrebbe succedere di nuovo».

Leggi tutto l articolo