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Libia, l?allarme del Copasir: «700mila migranti irregolari». Dal Sahel alla Tripolitania flussi incontrollabili

2 ore fa 2
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Le armi russe dal Mediterraneo, la droga e i traffici di esseri umani fuori controllo dal Sud e il Sahel, la pancia in subbuglio del continente africano. La Libia è una polveriera e la brace inizia a riaccendersi sotto la cenere. Nei giorni del caso Almasri, il “torturatore” e capo della guardia libica rimpatriato dal governo italiano nonostante un mandato di arresto della Corte penale dell’Aia, il Copasir suona l’allarme sul Paese africano dirimpettaio dell’Italia. Dove si trovano oggi, stando alle stime del comitato che controlla i Servizi segreti, «700mila immigrati irregolari». Un bubbone che rischia di esplodere. E se non succede è grazie agli accordi siglati dal governo (e in parte da quelli precedenti) insieme all’Ue con le autorità di Tripoli. Sì, anche con le milizie che controllano la guardia costiera e i centri di raccolta dei migranti con il pugno di ferro.

NON SOLO ALMASRI

Se c’è ancora un dubbio sul perché abbia prevalso la realpolitik nelle scelte del governo sul destino di Almasri, il “ras” di Mitiga accusato di crimini contro l’umanità dall’Aja, conviene tuffarsi nella relazione di ottanta pagine pubblicata ieri dal comitato di Palazzo San Macuto presieduto dal veterano dem Lorenzo Guerini. Che lascia davvero pochi dubbi sulla criticità - e l’attenzione massima dei nostri apparati - del dossier libico.

«La regione del Sahel è preda di traffici illeciti di esseri umani, di carburante, di droghe e, recentemente, di armi - scrivono i parlamentari del Copasir - favoriti dal fatto che la Libia non sembra essere in grado di controllarli». Insomma Libia terra di nessuno? Di certo la situazione in Tripolitania, la regione della capitale dove è insediato formalmente il governo riconosciuto dall’Onu di Dbeibeh, è considerata preoccupante. «Oggi la concentrazione delle partenze dei migranti è sulla parte della Tripolitania - ha rincarato ieri il sottosegretario con delega all’intelligence Alfredo Mantovano - dalla Cirenaica non parte via mare più nessuno e la Tunisia fa un grande lavoro di contenimento, con la Tripolitania non funziona perché c’è una guerra tra milizie».

Sono le conclusioni a cui è giunto il comitato di controllo degli 007 italiani al termine di un’indagine sull’Africa durata mesi e che ha coinvolto metà governo, dai ministri Crosetto, Tajani, Piantedosi e Urso a Pichetto Fratin e Lollobrigida. Fino a Giovanni Caravelli. Il direttore dell’Aise, l’agenzia per l’esterno, atteso di nuovo in audizione martedì per chiarire i contorni della fumosa vicenda dello spyware Paragon.

Ma torniamo al rapporto del Copasir. «In Libia il controllo dell’immigrazione irregolare è più efficace nella regione della Cirenaica, governata dal generale Haftar, mentre in Tripolitania le diverse fazioni e milizie presenti si dividono il controllo delle varie città coinvolte in questo traffico» mette in guardia il comitato. Allarme rosso dunque. Certo, nell’ultimo anno le partenze sono crollate, come non manca di ricordare il Viminale. E se si fa eccezione per un picco sospetto intorno a metà gennaio che qualcuno nel governo tende a ricollegare alla vicenda Almasri - erano infatti i giorni in cui il ras libico si trovava in arresto in Italia - le partenze delle ultime settimane non destano particolare preoccupazione.

Ma la stagione estiva incombe. E ha già gli occhi puntati della premier Giorgia Meloni decisa ad affrontare per tempo l’allarme migranti nelle consuete riunioni a Palazzo Chigi con i ministri competenti e i vertici dell’intelligence. Quasi un milione di migranti illegali, invisibili giunti dal Sahel e il Corno d’Africa ma anche dalla rotta asiatica - sono fermi in un Paese dagli argini istituzionali fragilissimi, a tratti pressocché inesistenti. Come non bastasse, ci si mette la Russia che continua a fare della Libia - avvisa il Copasir - terra di traffici per le sue armi e di interessi per le milizie che hanno raccolto l’eredità della Wagner. I riflettori dei Servizi restano accesi sulla «fornitura di equipaggiamento e personale militare, spesso attraverso società militari private come il Gruppo Wagner». Così come da parte di «formazioni mercenarie maggiormente collegate al Cremlino» - è il caso del neocostituito Afrikanskij Korpus - ora che l’esercito personale di Prigozin è stato riportato sotto l’ombrello dello Stato maggiore russo.

«Le armi che arrivano attraverso la Libia, secondo diverse fonti, avrebbero come destinazione anche il Mali e il Burkina Faso, dove la Russia ha legami con i golpisti», riprende il rapporto appena chiuso. È un tema politicamente caldissimo, si capisce, per la vicenda Almasri che ancora incendia i rapporti tra governo e opposizioni e ha innescato un nuovo scontro tra politica e toghe con le indagini avviate dalla procura di Roma. Il generale libico rimpatriato sul Falcon dei Servizi è tornato a Tripoli fra tutti gli onori, resta lì e non parla «di cose italiane» come ha detto nei giorni scorsi al Messaggero. Operativo, Almasri è tornato a gestire lo snodo cruciale di Mitiga e del suo aeroporto, raccontano fonti informate.

QUI PALAZZO CHIGI

Per il governo del resto la tenuta della Tripolitania è una priorità. E i rapporti con i servizi libici, scrive il Copasir nel suo rapporto, sono considerati «proficui». Secondo rumors locali Caravelli, capo dell’Aise considerato tra i massimi esperti del Paese africano, sarebbe tornato in visita in Libia a fine gennaio, quando il caso Almasri - o almeno il primo round, quello tra Roma e L’Aja - si era già concluso. Eppure l’instabilità e le scorribande di potenze straniere preoccupano. Paradossalmente più in Tripolitania che nella Cirenaica di Khalifa Haftar, il maresciallo che fa da sponda a Mosca e con cui il governo italiano vanta ora rapporti solidi, quanto basta per tutelare le attività di Eni nell’area.

Ora però il cruccio dei flussi libici torna a bussare alla porta di Palazzo Chigi. Scrive il Copasir: «I migranti si procurano il denaro necessario per il biglietto, da 2.000 a 5.000 euro a seconda del luogo di partenza, svolgendo lavori nelle città della Libia». Le stesse città dove vivono in penombra più di mezzo milione di irregolari. Disperati in cerca di una vita migliore e reduci da viaggi drammatici attraverso l’Africa subsahariana, che arricchiscono i trafficanti e anche «le organizzazioni terroristiche, le quali pretendono il pagamento di denaro quando le carovane transitano dai territori da loro controllati». Le rotte si moltiplicano.

Preoccupa quella asiatica, al centro di una recente riunione presieduta da Meloni. Partono dal Bangladesh e dal Pakistan a migliaia, fanno tappa negli Emirati, arrivano in aereo in Libia. Il governo lavora a una stretta sui visti. Ma è sulla Tripolitania, la regione del governo Dbeibeh (e di Almasri) che ora tornano ad accendersi i riflettori dell’esecutivo e dell’intelligence.

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