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Daniel Mosseri 22 giugno 2024
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Prima ha fatto cadere l’Ungheria, poi ha conquistato la Slovacchia, infine ha fatto ritirare la Romania: fatti fuori gli ultimi “nemici”, dal prossimo 2 ottobre il primo ministro neerlandese, Mark Rutte, diventerà segretario generale della Nato. Una conferma che permetterà all’attuale numero uno del Patto atlantico, il norvegese Jens Stoltenberg, di lasciare Bruxelles dopo dieci anni e quattro estensioni del suo mandato. La prassi dell’alleanza richiede il consenso dei 32 paesi membri per la nomina del segretario generale ma contro Rutte si era imposto il presidente ungherese Viktor Orbàn che ha sempre considerato il candidato olandese troppo filo-ucraino e anti-russo rispetto alla linea di Budapest, molto più attenta alle ragioni del Cremlino.
Il veto magiaro è però caduto quando Rutte si è impegnato a onorare l’intesa fra Stoltenberg e Orbàn secondo cui «nessun membro del personale ungherese prenderà parte alle attività della Nato in Ucraina e nessun fondo ungherese sarà utilizzato per sostenerle», ha scritto lo stesso capo del governo magiaro sul social X dando luce verde a Rutte.
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Sulla strade dell’olandese c’era però anche la Slovaccchia del neopresidente Peter Pellegrini, anche lui tiepido con Kiev: il capo di Stato dal cognome italiano non aveva una specifica pregiudiziale contro Rutte. Piuttosto, Bratislava avrebbe preferito un segretario generale della Nato geograficamente più vicino alla Mitteleuropa ma «dopo una discussione finale con Rutte e una consultazione con il governo (slovacco), la Slovacchia può immaginare Rutte alla guida della Nato», ha dichiarato lo stesso Pellegrini in conferenza stampa in diretta tv. A spianare la strada al premier olandese è stato anche il ritiro dalla corsa verso Bruxelles del presidente rumeno Klaus Iohannis: «La Nato ha bisogno di un rinnovamento, con una rappresentanza forte e influente di questa regione, che soddisfi le esigenze degli Stati membri», aveva dichiarato Iohannis al momento della candidatura.
57 anni, gli ultimi 14 dei quali passati a guidare il governo del suo Paese, Rutte è un personaggio politico molto noto sulla scena europea: dal 2006 al 2023 ha guidato il Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vvd), una formazione liberal-conservatrice, guadagnandosi la fama di “falco” del rigore di bilancio, una linea che lo ha portato in passato in rotta di collisione con i governi italiani titolari di uno dei maggiori debiti pubblici in seno all’Ue. Eppure, a dispetto delle diverse appartenenze politiche e la differente gestione della cosa pubblica – il che ha spesso portato Amstersdam a guardare Roma dall’alto in basso – nel giro degli ultimi mesi Rutte è diventato “amico” della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
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Il politico navigato ha per esempio sostenuto la posizione italiana in ambito europeo sulla questione delle migrazioni arrivando anche ad accompagnare Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in una missione in Tunisia finalizzata a puntellare l’economia dello stato nordafricano per evitare un’ondata di migranti economici sulle coste meridionali d’Europa. Politico ieri ricordava che nei suoi 14 anni da primo ministro Rutte non ha mai impegnato il 2% del Pil dei Paesi Bassi a favore della Difesa come richiesto invece dall’alleanza.