Respingere «la cieca logica» delle armi, «far cessare il fuoco ovunque», alimentare la «speranza di pace», denunciare «le conseguenze dell’odio», «costruire ponti di dialogo e di collaborazione con le altre nazioni»: non si può affatto dire che Sergio Mattarella abbia pronunciato un discorso guerrafondaio, ieri mattina a Cassino. E di certo non sarebbe stata la circostanza adatta.
Il 15 marzo di ottant’anni fa si scatenò uno dei più atroci bombardamenti del Secondo conflitto mondiale che rase al suolo la cittadina laziale e la sua Abbazia benedettina con migliaia di vittime civili. Per farsi largo contro i tedeschi invasori, gli Alleati scrissero una pagina tragica. Cassino divenne simbolo della distruzione bellica, della «volontà di ridurre al nulla il nemico senza alcun rispetto per le vittime innocenti», al pari di Coventry e di Dresda. Il ricordo di quei drammi spiega l’angoscia del presidente: «Sono mesi e ormai anni amari quelli che stiamo attraversando», confida. «Contavamo che l’Europa non dovesse più conoscere» simili orrori. E invece «guerre terribili stanno spargendo altro sangue e distruggendo ogni remora». Dall’Ucraina alla Striscia di Gaza non c’è tregua.
Ma sbaglierebbe chi interpretasse le parole di Mattarella come pacifismo a senso unico, quale segnale di resa agli aggressori e ai prepotenti, in particolare alla Federazione russa. La pace, tiene a specificare il capo dello Stato, «va fondata sulla dignità e sulla libertà», sul «ripristino del diritto violato in sede internazionale», sul «rispetto dovuto a ciascun popolo», mettendo argini alla «sopraffazione» e alla «volontà di potenza». È la stessa linea umanitaria cui s’ispira la nostra Costituzione, che all’articolo 11 ripudia la guerra di aggressione come strumento per venire a capo delle controversie internazionali. Da lì il presidente della Repubblica non si discosta.
Conclusa la cerimonia a Cassino, Mattarella ha fatto sosta a Ferentino per deporre una corona in memoria di don Giuseppe Morosini. Fu un sacerdote partigiano che i nazifascisti fucilarono il 3 aprile 1944 a Roma: il suo coraggio (insieme a quello di don Pietro Pappagallo) ispirò il film capolavoro Roma città aperta di Roberto Rossellini. La Repubblica antifascista non dimentica i suoi eroi.