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ROMA. Come quei giocatori che vanno sotto la curva e portano le mani aperte all’altezza delle orecchie, come a dire «non vi sento, urlate più forte». C’è il gusto della provocazione, il compiacimento nel suscitare proteste e reazioni scomposte. Quando arriva il momento della sua replica al dibattito, al Senato come alla Camera, Giorgia Meloni si spoglia di qualsiasi cautela istituzionale e inizia a scagliare frecciate verso le opposizioni.
Schiaffeggia Giuseppe Conte a colpi di pochette, criticando la linea del Movimento 5 stelle sull’Ucraina: «Gli ho sentito dire che Zelensky, se vuole la pace, deve mettersi gli abiti civili. Forse Conte riteneva al tempo che a governare l’Italia ci sarebbe stata la sua pochette». Una puntura studiata, ben sapendo che all’avvocato puoi toccare tutto, ma non la pochette. Accusa il Pd di essersi astenuto sull’invio di armi a Kiev, riferendosi in modo strumentale a un voto su una risoluzione di maggioranza e scatenando reazioni furibonde dai banchi dem. La premier sorride soddisfatta: «Ragazzi vi vedo sempre un po’ nervosi». Il brusio aumenta, qualcuno le contesta l’espressione poco consona nei confronti dei deputati, Meloni spegne il microfono e si mette a discutere con quelli del Pd nelle prime file. «Che ho detto? Ragazzo? Non va bene?».
Talmente irrituale che il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, si vede costretto a richiamarla: «Questo non è un dibattito, termini pure le sue comunicazioni». Lei aspetta, pausa voluta, riordina i fogli degli appunti sul tavolo, facendo sfogare la rabbia degli avversari, sembra godersi il rumore dell’Aula. Poi aggiunge: «Non vi sono particolarmente simpatica, questo mi è evidente». Smorfia sorniona e risatina rivolta ai ministri Tajani e Fitto seduti al suo fianco. Siccome le proteste non si placano, prova a chiudere il caso: «Noi romani ogni tanto lo diciamo “ragazzi”...Vi chiedo scusa comunque. Come? I romani “sono meglio di questo”? Certo, ma ogni tanto dicono “ragazzi”». Botta e risposta continui, come se fosse un talk show. «Allora mi scuso anche con i romani», ammicca ironica. «Cosa preferite, “giovani onorevoli”?». Nuove contestazioni e alla fine la presidente del Consiglio decide per «onorevoli colleghi».
Ma questo è solo l’apice dello show della premier, che per tutto il dibattito a Montecitorio offre un vasto campionario di mimica facciale e colpi di teatro. Occhi sgranati quando le vengono rivolte critiche ritenute infondate, palpebre che sbattono veloci a manifestare la sua perplessità, aria corrucciata e insofferente, mani a coprire la faccia in segno di disperazione, braccia allargate in segno di sconforto. Oltre a innumerevoli battute e sorrisetti con i ministri seduti lì intorno, per commentare gli interventi che si susseguono. Uno stile ormai collaudato, basti ricordare comizi in Sardegna e in Abruzzo, quando aveva fatto platealmente il verso alle opposizioni, con tanto di vocina stridula. O l’incontro con la stampa estera, quando aveva scherzato sul fatto che «volevo giocare a pallavolo, ma sono una nana» e sull’impossibilità di «affogare i dispiaceri nell’alcol». Giorgia show, ormai è un format.
Alla Camera ascolta con aria di sufficienza, e anche un po’ di scherno, Elly Schlein, non guarda praticamente mai in faccia Conte, tenendo la tesa bassa sugli appunti, tranne quando il leader 5 stelle la attacca sul caro mutui e sugli extraprofitti delle banche: Meloni fa no con il dito, portandoselo poi al petto, come a dire «io non c’entro». Il meglio, però, lo dà quando il portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli, la invita a non fissarlo «con quello sguardo inquietante». Lei, per tutta risposta, si copre la testa con la giacca, si nasconde e resta un paio di secondi in quella posa da scuola media. Una cosa mai vista in un’aula parlamentare, una foto che in poche ore diventa virale sui social. A osservarla dalla tribuna, peraltro, ci sono anche gli studenti di un liceo, loro sì seri e composti. Ma Meloni va capita, a Palazzo Chigi si annoia, è in astinenza da scontro parlamentare e, quando ne ha l’opportunità, si sfoga. «Lei non è un capocomico», la rimprovera Conte sgolandosi, ma con la pochette sempre candida, immobile nel taschino.