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Dopo essere stato assolto dall’accusa di aver siglato un accordo con il boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano per porre fine alle stragi, ora è indagato di concorso esterno alla mafia per non aver fatto nulla per impedire gli attentati stragisti di Firenze, Milano e Roma del 1993. Il generale dei carabinieri Mario Mori non trova pace: solo un anno fa, il 27 aprile 2023, la Corte di Cassazione lo ha scagionato in via definitiva, «per non aver commesso il fatto», dall’aver partecipato a una presunta trattativa Stato-mafia.
LE ACCUSE
«Nel giorno del mio 85esimo compleanno (lo scorso 16 maggio, ndr) ho ricevuto, dalla Procura della Repubblica di Firenze, un avviso di garanzia con invito a comparire per essere interrogato in qualità di indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell'ordine democratico». In sostanza gli viene contestato di aver agito «in concorso con altri soggetti e in qualità di ufficiale dell’Arma dei carabinieri (in quel periodo storico, ndr) in servizio al Ros con l’incarico di vice comandante».
Secondo i pm fiorentini, Mori, «pur avendone l'obbligo giuridico, non impediva mediante doverose segnalazioni e denunce all'autorità giudiziaria, ovvero con l'adozione di autonome iniziative investigative e preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto anticipazioni». In particolare si fa riferimento all’attentato del 27 maggio 1993 in via dei Georgofili, a Firenze, a pochi passi dalla Galleria degli Uffizi; a quello del 27 luglio 1993 in via Palestro, a Milano, vicino alla Galleria d'arte moderna; alle bombe esplose il giorno dopo, quasi in contemporanea, nei pressi della basilica di San Giovanni in Laterano e della chiesa di San Giorgio in Velabro, a Roma; nonché al fallito attentato del 23 gennaio 1994 in via dei Gladiatori, a poca distanza dallo stadio Olimpico della Capitale.
Secondo la ricostruzione dalla Dda di Firenze, il generale sarebbe rimasto inerte pur essendo stato «informato, dapprima nell'agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di Cosa nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini (esponente della destra eversiva, ndr), di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della Nazione e, in particolare, alla torre di Pisa». Mori non avrebbe fatto nulla - sempre secondo i pm della Direzione distrettuale antimafia - nemmeno successivamente, quando il pentito Angelo Siino «durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord».
LA PERSECUZIONE
«Dopo una violenta persecuzione giudiziaria, portata avanti con la complicità di certa informazione e durata ben 22 anni, che mi ha visto imputato in ben tre processi, nei quali sono stato sempre assolto, credevo di poter trascorrere in tranquillità quel poco che resta della mia vita», ha commentato ieri Mori. «Ma devo constatare che, evidentemente, certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di 5 pronunce assolutorie e nemmeno della recente sentenza della Suprema Corte che ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole interpretazioni storiografiche.
Per questo motivo, quei giudici della Cassazione - ha aggiunto l’ex ufficiale dell’Arma - sono stati duramente criticatati dal consesso dei lottatori antimafia nella totale indifferenza del Csm che, dinnanzi a questi violenti e volgari attacchi, tace a fronte di questo disegno che ha come unico obiettivo quello di farmi morire sotto processo». «Quelle a mio carico sono accuse surreali e risibili. Basti pensare alla circostanza - ha spiegato - che oggi vengo indagato per non aver impedito le stragi, quindi con una virata di 360 gradi rispetto al precedente teorema.
A Palermo, infatti, mi hanno processato per 11 anni, con l'accusa di aver “trattato” con la mafia e siglato un accordo con Provenzano per far cessare le stragi». «Sono profondamente disgustato da tali accuse che offendono, prima ancora della mia persona, i magistrati seri con cui ho proficuamente lavorato nel corso della mia carriera nel contrasto al terrorismo e alla mafia, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Forse non mi si perdona di non aver fatto la loro tragica fine», ha concluso Mori, precisando: «Affronterò e supererò anche questa ennesima angheria. L’interrogatorio davanti ai pm di Firenze, fissato per domani, presumibilmente verrà rinviato perché il difensore del generale, l’avvocato Basilio Milio, deve presenziare a un’udienza già calendarizzata a Palermo.
«COSTRUZIONE AZZARDATA»
«Quella contestata a Mario Mori è una costruzione giuridica francamente piuttosto azzardata - ha commentato l’avvocato Francesco Petrelli, presidente dell’Unione camere penali - Il nostro ordinamento prevede in astratto che si possa concorrere nei reati anche attraverso la condotta omissiva di chi non impedisce l’evento, sempre che abbia il dovere giuridico di evitarlo (come nel caso di un ufficiale dei carabinieri). Ma solo laddove se ne abbia avuta una diretta conoscenza, ossia se l’evento si sta realizzando in concreto sotto i suoi occhi. Non basta, secondo la giurisprudenza, temere che qualcosa in astratto possa accadere. Qui si mettono insieme fatti riguardanti lo stragismo mafioso che appartengono alla storia drammatica del Paese. La Cassazione ha già rimproverato ad alcuni giudici di confondere lo storicismo con il diritto».
I pm, inoltre, dovranno dimostrare quanto la presunta inerzia di Mori abbia inciso nella realizzazione delle stragi (una sorta di nesso di causalità). «Ci vuole un procedimento contro-fattuale che ci dica quale condotta positiva di Mori avrebbe potuto evitare quello che è successo - ha spiegato Petrelli - Altrimenti ricadiamo nel vizio di inseguire ricostruzioni congetturali, invece che stare alla plasticità delle prove. Poi dopo l’assoluzione del generale nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia mi sembra che si stia facendo il “gioco delle tre carte”: se non è una condotta commissiva, allora proviamo con una omissiva». Tra l’altro non viene contestato un reato più lieve come l’omissione di atti d’ufficio (che sarebbe già prescritto), ma l’«aver operato in esecuzione di un medesimo disegno criminoso» con chi ha avuto un ruolo in quelle stragi.
LE REAZIONI
«Provo sconcerto - ha dichiarato ieri il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano - Gli eccezionali risultati che la dedizione e l'impegno del generale Mori hanno permesso di conseguire esigerebbero solo gratitudine da parte delle istituzioni, magistratura inclusa». «Non ci si poteva accontentare di avergli reso la vita un calvario per decenni, il fatto che fosse stato assolto da ogni contestazione - ha scritto su X il ministro della Difesa, Guido Crosetto - Non si poteva consentire che, a 85 anni, potesse vivere con serenità la sua vita, come merita un servitore dello Stato come lui. No, occorreva dimostrare che chi non si inchina alle logiche della casta, deve essere distrutto».