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INVIATO A CANELLI (ASTI). «Dawal, dawal». «Scappa, scappa» gridava l’amico, perché lui l’aveva vista quella catena di bicicletta roteare in aria, con il blocco della serratura a sfiorare le teste. C’è una foto, scattata alcuni instanti prima dell’aggressione mortale nel centro di Canelli, in provincia di Asti, che ritrae quella scena. Una rissa tra migranti. Da una parte ragazzi del Gambia, dall’altra del Pakistan. Tutti ospiti nel medesimo centro di accoglienza, tra le colline astigiane. Da giorni erano in lite, Nafugi Manneh, 19 anni, la vittima, originario del Gambia, e Muhammad Waqar, di 24, pakistano, ora agli arresti per omicidio. Tutto per colpa di una pentola di riso. Manneh, la settimana scorsa, avrebbe ripreso Waqar per essersi lavato le mani nel lavandino vicino al fornello, facendo finire degli schizzi di sapone nella pentola. Si sono insultati, «ognuno nella sua lingua» dicono gli amici. Un educatore li ha separati. Ma da quel momento non hanno smesso di odiarsi.
Sarebbe racchiuso in questo episodio di convivenza tra etnie di migranti, ospiti di un centro di accoglienza per richiedenti asilo nel piccolo comune di Cassinasco, a sei chilometri da Canelli, l’aggressione feroce avvenuta martedì scorso nella piazza dedicata a Carlo Gancia, il re delle bollicine italiane. I due si sono affrontati sotto gli occhi di alcuni testimoni, tra i bar dove i pensionati si ritrovano a giocare a carte, e dove i turisti si fermano a godersi un aperitivo. Con loro c’erano altri connazionali, di entrambi i fronti. Prima sono volate parole, poi il ragazzo pakistano, aiutato da alcuni amici, sarebbe riuscito a rimanere faccia a faccia con il suo rivale. Ma non potendo prevalere a pugni, ha afferrato la catena della sua bicicletta, usata per spostarsi tra quelle località di collina, tra il Cas e la città. «La faceva roteare in aria con un lazo» racconta un pensionato. Alla fine ha mirato alla testa del 19enne e lo ha colpito con forza, fracassandogli il volto e la testa. Nessuno è riuscito a fermarlo.
Mentre lui fuggiva in sella della bicicletta, Manneh veniva soccorso dagli amici gambiani. Con fazzoletti hanno cercato di tamponare l’emorragia. «Il sangue gli zampillava come una fontana» racconta un connazionale. Non è morto subito. Ricoverato in coma all’ospedale di Alessandria, è morto la sera del primo maggio. Il suo aggressore, invece, è stato fermato dai carabinieri poco dopo l’aggressione. Tutta la scena è avvenuta sotto le telecamere comunali di video sorveglianza e di fronte a testimoni. Gli investigatori hanno fermato il pakistato mentre tornava in bicicletta verso il Cas. Con la catena insanguinata attorcigliata sotto la sella. Quell’arma improvvisata è stata sequestrata. Lui è stato portato in caserma. Quando i medici hanno gettato la spugna, sentenziando che non c’erano più speranze per il giovane, è scattato il fermo per omicidio volontario.
La vicenda ora ha acceso un faro sui centri di accoglienza e sulle tensioni che covano tra i gruppi di migranti. Malgrado la comune disperazione, i conflitti non si placano. E lo sa bene Paolo Hutter, attivista, ex assessore di Torino, presidente dell’associazione Eco delle Citta, che da anni propone offerte di lavoro ai richiedenti asilo. Tempo fa aveva visitato il Cas di Cassinasco e aveva sollevato alcune perplessità. «Ho notato una certa debolezza di questo Cas che - come altri, purtroppo - non ha personale per seguire i ragazzi. C'era tensione tra pakistani e gambiani che forse poteva essere disinnescata. Il rischio è che la mala accoglienza possa scatenare altri episodi del genere».
Per precauzione, il prefetto di Asti, Claudio Ventrice, ha disposto il trasferimento di tutti i ragazzi gambiani ancora presente nelle struttura, gestita dalla cooperativa Leone Rosso, della galassia Codeal, per disinnescare eventuali azioni di ritorsione nei confronti dei pakistani.