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Il Concertone fa acqua. E non è per la pioggia. C’è troppo poco rap. La scaletta del Primo Maggio non rispecchia i gusti popolari, quelli della Gen Z, che è il motore degli streaming su Spotify. Secondo Esse Magazine, che ha criticato la compilazione della line up del sindacato, solo il 10% degli artisti che si sono esibiti al Circo Massimo appartiene alla categoria hip hop, in tutte le sue sfumature.
Mentre a Sanremo la quota era al 25% e questo, secondo i critici del mag digitale, spiega il successo del Festival degli ultimi anni: creare un mix di classici e nuovo.
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Il Concertone avrebbe potuto replicare quel format. Sarebbe stata la cosa più facile da fare. Ma c’è un ma. Landini e Co. hanno bisogno di artisti impegnati politicamente. Che, oltre a cantare, facciano anche il loro sermoncino ideologico. E la stragrande maggioranza dei cantanti classe ’90 e classe Duemila non ha politica nel proprio repertorio. È un argomento considerato divisivo, non appassiona, non interessa, spacca le balle. In più i trapper sono i cantori dell’edonismo, parlano di soldi, bottiglie da sciabolare, sostanze da assumere. Non di contratti a tempo indeterminato. E questo riduce ulteriormente le opzioni. Così siamo arrivati al professionismo del Concertone. Ci sono cantanti che oramai si vedono solo il Primo Maggio. Un nome a caso: Piero Pelù. (...)