Home SignIn/Join Blogs Forums Market Messages Contact Us

Netanyahu sotto ricatto, governo in crisi: Ben Gvir e l?ultradestra pronti a lasciare il governo

7 ore fa 1
ARTICLE AD BOX

Anche i suoi nemici più irriducibili gli riconoscono grandi capacità di navigazione nonostante le difficilissime condizioni del viaggio. Benjamin Netanyahu, il premier più longevo di Israele, è un giocatore abile in grado di tenersi in mano tutte le carte prime di scoprirle. Anche quando, come ieri, si è trovato a camminare su un pericoloso crinale, stretto tra le spinte che gli arrivano sia dall’interno del paese - e del suo stesso governo - sia da oltre oceano mentre l’accordo dato ormai per imminente rivela tutte le sue criticità.

Per tutto il giorno si sono rincorse voci e dichiarazioni e per il premier la via d’uscita è stata quella di cui è maestro: il rinvio. La riunione prevista per votare l’accordo è così slittata a questa mattina, prima dello Shabbat. Dovrebbe entrare in vigore domenica a mezzogiorno. Nel frattempo Hamas avrebbe cercato di inserire almeno due nomi pesanti nella lista dei prigionieri, circa mille, da scambiare in questa prima fase con 33 ostaggi. Un tentativo che secondo alcuni analisti avrebbe aiutato il gruppo jihadista nel tentativo di accreditare il racconto di una propria vittoria. Ma Netanyahu ha fatto uscire prima allo scoperto i suoi alleati più riottosi e imbarazzanti, Ben Gvir e Smotrich, che con modalità diverse si oppongono al “deal”, all’intesa. Il primo annuncia l’uscita sua e del suo partito (l’ultra nazionalista religioso, “Potere ebraico”) dal governo con la firma dell’accordo, il secondo si dice disponibile a sostenere la prima fase dell’intesa ma con una precondizione: quella che il premier scriva nero su bianco l’impegno suo e del governo a riprendere la guerra subito dopo questa prima fase negoziale di 42 giorni.

LA TATTICA
Netanyahu sa bene di poter fare a meno dei voti di entrambi, visto che nel frattempo ha rafforzato il suo esecutivo allargandolo alla formazione “new Hope” di Gideon Saar, prima suo oppositore, ora Ministro degli Esteri. E sa anche che i due principali oppositori a partire da Lapid sono disponibili ad entrare nella coalizione pur di non far saltare l’accordo. E tuttavia non volendo venir meno alla propria immagine di combattente inflessibile e temendo forse anche di dilapidare il consenso che ha riconquistato in questi mesi di guerra ha preso tempo e rimandato il voto a domani, mandando al contempo un messaggio ultimativo a Hamas.

In questo modo non ha neanche dovuto entrare in rotta di collisione con i due presidenti americani, quello uscente che rivendica di aver costruito già dallo scorso giugno l’ossatura dell’attuale intesa e quello futuro che mercoledì era stato il primo ad annunciare il “deal” e ieri sui social si è spinto oltre parlando di «accordo di cessate il fuoco epico» che avrebbe potuto realizzarsi «solo come risultato della nostra vittoria storica di novembre».

Ma il premier che nell’emergenza dopo il 7 ottobre è riuscito a tenere unita la sua maggioranza, prima allargandola al partito di Benny Gantz e poi dopo le sue dimissioni includendo Gideon Saar, sa che la pressione delle famiglie degli ostaggi e della piazza non si allenterà. Le prime - come molti in Israele - temono che alla prima fase dell’accordo non ne seguiranno altre e dunque per 33 ostaggi che tornano - anche se col contagocce - altri 66 rischiano di restare nella Striscia. Insomma hanno tutti il timore che questo possa essere l’ultimo treno per la fuga dall’inferno e chiedono compatti che «nessuno sia lasciato indietro».

Ma lo scetticismo sulla reale conclusione della guerra e il ritorno a casa di tutti, vivi e morti, non riguarda solo i parenti dei rapiti ma è condiviso in larga parte del paese. Qualcuno arriva a contestare a Netanyahu di accettare oggi quello che nei fatti aveva respinto nel giugno scorso, quando Biden presentò la sua proposta di accordo. Ma i suoi sostenitori replicano ricordando come sia profondamente cambiata la geopolitica dell’intera area, con le eliminazioni dei capi di Hamas Deif, Hanye e poi Sinwar, con le sconfitte di Hezbollah e l’uccisione di Nasrallah e poi del suo successore, e la decapitazione dell’intero vertice dell’organizzazione terroristica sciita. E poi la fine dopo oltre cinquant’anni del regime sanguinario degli Assad e il conseguente indebolimento dell’Iran, che Israele considera la «testa del serpente». E ci sono poi anche nella destra politici e analisti che considerano l’accordo «molto pericoloso» perché rimette in libertà centinaia, forse un migliaio di potenziali nuove forze. Un serbatoio a cui Hamas sicuramente attingerà.

Leggi tutto l articolo