Home SignIn/Join Blogs Forums Market Messages Contact Us

Nomenclatore in attesa da 20 anni licenziato in 3 giorni

2 giorni fa 1
ARTICLE AD BOX

Fernanda Fraioli 31 dicembre 2024

  • a
  • a
  • a

Giuridicamente si chiamano periculum in mora e fumus boni iuris. Sono i due requisiti che il giudice amministrativo deve riscontrare in un giudizo del quale si chiede la c.d. sospensione cautelare, ovvero di sospendere gli effetti del provvedimento impugnato in attesa della decisione definitiva sul merito della vicenda. E, nella questione sollevata dall'Unione Nazionale Ambulatori (Uap), Federanisap e Aiop sul nomenclatore tariffario dei rimborsi delle prestazioni di specialistica ambulatoriale e protesica, li ha ritenuti sussistenti. Ha, cioè, ritenuto il TAR Lazio che quanto disposto con il decreto che recava in sè necessariamente la sua immediata esecuzione, essendo stato pubblicato in G.U. il 27 dicembre con effetto dal 30, recasse anche un rischio di determinazione di danni gravi ed irreparabili alle ragioni dei soggetti che lo hanno adito ed una positiva valutazione, sia pure sommaria, della fondatezza nel merito del ricorso. Entrambi, tuttavia, erano soggetti ad una espressa motivazione da parte dei giudici. Ed è quel che ha fatto, forse in modo tranchant agendo sulla tipologia di provvedimento utilizzato, il giudice amministrativo.

Ha, cioè, statuito che non si giustifica l’uso dello strumento dispositivo usato – ovvero un decreto ministeriale – per la carenza del carattere dell’urgenza, posto che risulta adottato dopo 20 anni dai precedenti nomenclatori, dando così prova dell’insussistenza della premura. Con queste parole – che giuridicamente rappresentano la motivazione del provvedimento giurisdizionale adottato, ovvero la ricostruzione logica del ragionamento effettuato dal giudice per addivenire alla decisione presa – è stata concessa la sopensiva del provvedimento che molto avrebbe inciso sulla sanità italiana, anche senza avere la forza di una legge. È, infatti, appena il caso di ricordare che solitamente è una norma di legge – in una delle sue formulazioni della c.d. scala gerarchica che va dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali, agli usi e alle consuetudini – a disciplinare fenomeni particolarnmente incisivi nella vita delle persone e dell’intera comunità. Perché è vero che il ricorso è stato presentato da imprenditori privati che coadiuvano il pubblico, ma altrettanto vero è che gli effetti positivi o nefasti che siano, si riverberano sull’intera utenza del servizo sanitario. Per questo quanto hanno sostenuto i ricorrenti in merito agli aspetti che il decreto viola, ha trovato un suo accoglimento in sede cautelare davanti al giudice amministrativo. Ovvero che ad essere offesi sono stati i principi costituzionali dell’efficienza e del buon andamento della Pubblica Amministrazione con le tariffe che non tengono conto dell’incremento dei costi e delle difficoltà operative causate dalla pandemia e dalla crisi economica mediante un’istruttoria incompleta e lacunosa senza alcuna rappresentazione adeguata dei costi reali e delle esigenze delle strutture sanitarie accreditate. Il tutto in una manciata di giorni a fronte di una latitanza normativa ventennale a cui si è ritenuto di far fronte in modo, a dir poco semplicistico, con un provvedimento di rango amministrativo, di solito usato per disciplinare minuzie e non certo le nuove tariffe aggiornate per differenti e più numerose cure e prestazioni sanitarie da garantire alla collettività da parte del SSN – non importa se a titolo gratuito o dietro pagamento di un ticket – che sono i nuovi LEA, in panchina, in attesa di essere licenziati, dall’anno 2017. Raramente fenomeni così incisivi su diritti talmente ampi da essere essere addirittura costituzionamente tutelati, come quello alla salute, sono affidati alla disciplina di un atto amministrativo, il quale può porre, sì, norme generali ed astratte, nel qual caso avremo un regolamento, ma anche semplicemente disposizioni particolari, nel qual caso non avrà la forza di un provvedimento normativo, restando pur sempre un mero atto amministrativo, che non assurge al rango di fonte di diritto autonoma e secondaria come nel primo caso.

Quanto invece è stato usato nel caso del Nomenclatore, è proprio un atto amministrativo emanato dal Ministro nell’esercizio della sua funzione e nell’ambito delle materie di propria competenza che, senza avere la forza di legge, aveva l’ardire di regolamentare una materia che solo la dovuta approfondita ponderazione di tutti i contrapposti interessi in gioco, può compiutamente disciplinare. La pronuncia del TAR ha riguardato unicamente le diagnosi ambulatoriali e non anche le tariffe protesiche congelando, fino alla decisione nel merito fissata per l’udienza pubblica del 28 gennaio prossimo, la situazione attuale. Certo, il 28 gennaio non è lontano, anche se 30 giorni sembrano un’eternità senza sapere cosa succederà. Ci consola solo sapere – come si sono premurati di evidenziare i ricorrenti – che il rinnovo previsto avrebbe causato gravi danni agli ospedali pubblici siti in Regioni con piano di rientro, essendo stato disposto con rapidità e con applicazione in tempi altrettanto rapidissimi. Il nuovo listino avrebbe compromesso gravemente la possibilità di prendere in carico i pazienti e di assicurare una soddisfacente qualità degli esami, con ulteriore, e di certo non necessario, aggravamento delle liste d’attesa, già sufficientemente sofferenti. Il taglio del 70 % ai rimborsi previsto nel decreto ora sospeso, sia per gli ospedali pubblici che per i centri privati accreditati, avrebbe comportato ancora altre pesanti perdite per le strutture sanitarie italiane. Risuonerà forse irrispettoso, ma è proprio il caso di dire il più classico dei “chi vivrà vedrà”.

Leggi tutto l articolo