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Finalmente libere. Una liberazione che è anche il segno di un nuovo inizio, una svolta forse, perché significa che la tregua scattata con qualche ritardo ieri alle 11.15 ora locale nella Striscia di Gaza regge, e che forse sabato ci sarà un nuovo rilascio di ostaggi in cambio di altre decine e centinaia di detenuti palestinesi. Ma fino all’ultimo, in un rincorrersi di notizie vere e false, c’è stato il dubbio che l’intesa sottoscritta a Doha tra i mediatori internazionali e le delegazioni di Israele e Hamas potesse non diventare realtà.
LA DINAMICA
In Israele, nella piazza degli ostaggi e nelle case, sono entrate le immagini dei quattro fuoristrada della Croce Rossa Internazionale che andavano nella piazza di Gaza City, al punto indicato per la consegna di Romi Gonen, 24 anni, Emily Damari, 28, e Doron Steinbrecher, 31. Una prima notizia dei canali sauditi le dava già in viaggio verso la base militare al confine, dov’erano state convocate le madri, gli elicotteri pronti per il trasporto in ospedale. Una doccia scozzese di conferme e smentite. Su quei veicoli non c’erano ancora le ragazze. Subito dopo, i video dalla Striscia hanno inquadrato una schiera di miliziani di Hamas col volto coperto e la classica banda verde, davanti a un tavolino con due sedie. E, dopo, una scena di confusione indescrivibile, e il momento in cui le tre giovani sono state spinte fuori da un fuoristrada dei terroristi e strattonate verso quello della CRI. Urla intorno. «Allah Akbar». Allah è grande. Grido di vittoria. E mitra con le canne in alto. La folla preme. Concitazione. Le ragazze che camminano da sole è già la prova che sono almeno in grado di muoversi senza una sedia a rotelle. Più tardi, l’immagine iconica della liberazione è quella di Emily che alza la mano bendata senza più due dita, in segno di trionfo. E, ancora, nella notte i gipponi dell’esercito di Israele che passa il confine e porta le tre donne ostaggio nel Kibbutz di Berri. Romi, Emily e Doron sono calme adesso, camminano piano ma sorridono. Le accolgono i soldati dell’Idf, le forze di difesa israeliane che già dalla sera prima si sono ritirati dai centri abitati della Striscia e si sono ridispiegati sui confini, presidiando però ancora i due corridoi strategici Philadelphia, al confine con l’Egitto, e quello che taglia in due la Striscia, dove migliaia e migliaia di palestinesi si sono incamminati da sud a nord per raggiungere quel che resta delle loro case.
GLI ULTIMI RAID
Nelle ore concitate della tregua partita a rilento ci sono stati gli ultimi scontri. Raid israeliani che hanno colpito e distrutto i pick-up coi terroristi che facevano festa anzitempo. E, a quanto pare, anche palestinesi che si sono diretti verso i soldati, contravvenendo all’istruzione impartita di non avvicinarsi, e sono stati presi a fucilate. Ancora decine di morti nella zona grigia tra l’orario ufficiale di avvio del cessate il fuoco, quando però da parte palestinese si tardava a comunicare i nomi degli ostaggi da liberare, e l’effettivo momento del silenzio delle armi. Hamas sostiene che osserverà la tregua, se lo farà Israele. Il premier israeliano, Netanyahu, che pur di stringere l’accordo ha perso tre ministri compreso il leader del Partito del Potere Ebraico, Ben-Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale, saluta il rientro di Romi, Emily e Doron come un successo e un sollievo. «L’intera nazione vi abbraccia. Avete attraversato l’inferno, siete passate dall’oscurità alla luce, dalla schiavitù alla libertà. Bentornate a casa, questo è un grande giorno, Riporteremo indietro tutti gli ostaggi. I nostri soldati sono i veri eroi di Israele».
GLI USA
Da Washington, il presidente Biden incassa il risultato di un lunghissimo ed estenuante negoziato, «uno dei più duri ai quali io abbia partecipato in tutta la vita», che sta dando «i suoi frutti» in uno scenario mediorientale «profondamente trasformato». E forse per la prima volta, sottolinea che la sua squadra e quella di Donald Trump hanno lavorato «con una sola voce». Il primo a intervenire, del resto, è stato come al solito proprio Trump: «Oggi iniziano a uscire gli ostaggi! Tre meravigliose giovani donne saranno le prime». E il suo futuro consigliere per la sicurezza nazionale, Mike Waltz, avverte che non potrà mai essere che una organizzazione terroristica, Hamas, governi in futuro. «Mai più Hamas alla guida di Gaza».
Parole che fanno presagire una nuova guerra dopo la liberazione degli ostaggi. Ma anche uno scontro latente fra le diverse anime palestinesi: Hamas contro l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen, che da giorni rivendica la successione al timone della Striscia. Di certo c’è che vedono la luce Emily, anglo-israeliana tifosa di calcio del Tottenham Hotspur, che fu trascinata a Gaza il 7 ottobre insieme ad altri 37 residenti del Kibbutz Kfar Aza. I terroristi le spararono addosso, fu ferita alla mano, alle gambe. E hanno assassinato con un colpo alla nuca il suo cane, Choocha. Lei ha perso due dita, la madre Mandy lo sapeva e non era neppure sicura che la figlia fosse viva. Ieri ha ringraziato quanti «non hanno mai smesso di lottare in questa terribile prova e di pronunciare il nome di Emily». Romi aveva 23 anni quando fu strappata via. Le sue ultime parole alla madre, al telefono: «Mamma, mi hanno sparato, sto sanguinando, tutti nella macchina sanguiniamo». Il padre, Eitan, l’ha definita «una ragazza magica, una guerriera della giustizia». La sorella, Meirav Leshem, è una scrittrice, sui media israeliani aveva svolto delle riflessioni sulla Festa delle Luci. Doron è una infermiera veterinaria.
Giallo sulla mancata liberazione di una tedesco-israeliana, Erbel Yehud, rapita a Nir Oz, che compariva in una prima lista di donne da scambiare con i detenuti palestinesi. Il corpo del fratello 35enne, Dolev, è stato ritrovato tra le macerie del Kibbutz. Qualche giorno dopo la sua morte, è nato l’ultimo dei suoi quattro figli. Risolto invece il giallo dei sacchetti nelle mani delle tre rapite. Contengono i “souvenir” consegnati dai loro aguzzini: immagini ricordo di Gaza, foto della prigionia e un “certificato di rilascio” con tanto di foto sorridente della prigioniera. Un particolare che non impedirà al ministro della Difesa, Israel Katz, di portare a termine la sua missione. «Non fermeremo la guerra fin quando non saranno tornati a casa tutti gli ostaggi». A dimostrazione di un odio stratificato e di lunga data, solo ieri Israele ha annunciato di avere anche recuperato, a Gaza, il corpo di Oron Shaul, un soldato ucciso nella guerra Israele-Hamas del 2014, in un’operazione speciale.