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La globalizzazione non è morta. Ma certo non si può dire che goda di buona salute. Ed è un problema non solo per l’Italia, per tutta l’Europa. Lo scorso anno il commercio con i Paesi extra europei ha rappresentato il 55 per cento del Pil del Vecchio Continente. Viviamo di esportazioni. Se le grandi economie come gli Stati Uniti o la Cina chiudono i loro mercati, rischia di crollare il benessere dei cittadini europei costruito sul modello di un’economia aperta. Fabio Panetta non ha dubbi. Alla sfida non si risponde con meno mercato, ma con più mercato. Soprattutto con più mercato europeo. Il modello economico del Vecchio Continente va ripensato, ma non in un’ottica protezionistica, piuttosto per ridare forza all’Europa nei rapporti globali. Dunque, va ridotta l’eccessiva dipendenza dalla domanda estera, e va «ampliato» e valorizzato» il mercato unico.
È un discorso profondamente europeista. L’Europa immaginata da Panetta è un’Europa che integri i suoi settori strategici delle telecomunicazioni, dell’energia, della finanza. Che metta insieme “campioni” presenti nei vari Paesi in modo raccogliere le enormi risorse necessarie a finanziare l’Intelligenza artificiale, la vera sfida del futuro che stabilirà vincitori e vinti della crescita economica del prossimo ventennio. Ma anche per rispondere alla transizione energetica, per la quale occorre una mole di 800 miliardi l’anno di investimenti. Servono «politiche comuni», perché nessun Paese è in grado di affrontare queste trasformazioni epocali da solo. Unirsi significa anche iniziare a ragionare, senza pregiudizi, di emissioni di debito comune, Eurobond, come già fatto per finanziare il Ngeu, quello che in Italia si chiama Pnrr, Piano Nazionale di ripresa e resilienza.
IL FARDELLO
L’Europa che vuole contare nel mondo non può fare a meno dell’Italia. Un’Italia che è profondamente cambiata negli ultimi anni. Certo, c’è l’enorme «fardello» del debito pubblico. Così come bisogna evitare «facili illusioni» perché di problemi ce ne sono tanti. Ma va pure superato il pregiudizio che vede il Paese costantemente come l’ultimo della classe, il vagone di coda del treno europeo. Basta saper (o volere) leggere i dati. Tra il 2019 e il 2023 il Pil italiano è cresciuto del 3,5 per cento contro l’1,5 per cento della Francia e lo 0,7 per cento della Germania. In termini pro-capite lo scarto è ancora maggiore. L’occupazione è aumentata nello stesso periodo di 600 mila posti, la maggior parte a tempo indeterminato. Mentre i Francia e Germania le esportazioni sono diminuite, in Italia sono cresciute del 9 per cento. Il nostro Paese è “creditore” netto nei confronti delle altre economie di ben 155 miliardi di euro. Tutto questo non è frutto di un caso fortuito, del superbonus o delle politiche ultra espansive degli scorsi anni della Bce. C’è una parte delle imprese italiane che nell’ultimo lustro si è profondamente trasformata. Ha investito e ha vinto la sfida della concorrenza. La manifattura italiana è diventata la più automatizzata tra le principali economie dell’area euro. In Italia ci sono 13,4 robot ogni 1000 addetti. In Germania 12,6, in Francia 9,2. Le imprese hanno raddoppiato i loro investimenti in tecnologie digitali. Tutto questo è stato reso possibile anche dai programmi di incentivo messi a disposizione dai vari governi, da Industria 4.0 in poi.
OSTACOLI
C’è un gruppo di aziende italiane, come ha già fatto notare il Centro studi Nomisma, che va «contro vento». Che sono leader sui mercati globali, non di rado in nicchie ad altissimo valore aggiunto. Sbaragliano la concorrenza e trainano le esportazioni nazionali, spingendo l’intera crescita del Paese. Si sbaglia, però, a pensare che si tratti di vantaggi definitivamente acquisiti. Sono conquiste che vanno alimentate e consolidate. La vera sfida politica è rimuovere tutti gli ostacoli che rallentano questo processo di modernizzazione. Vanno tolti i limiti alla concorrenza, bisogna investire sull’istruzione e la formazione delle giovani generazioni, ma va anche trovata una strada per ridurre il debito pubblico e favorire lo sviluppo del Mezzogiorno.
Vaste programme, si potrebbe dire. Ma è anche l’unico programma, per superare le difficoltà e tornare a concorrere al progresso dell’Europa. Una comunità, ha ricordato Panetta, che ha garantito sviluppo, benessere e convivenza pacifica a milioni di persone.