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A rompere gli indugi è stato Giancarlo Giorgetti. Non è cosa da poco. Ogni volta che ha toccato il tema pensioni, il ministro dell’Economia lo ha quasi sempre fatto per sopire, smussare, troncare. Al salone del Risparmio di Milano, Giorgetti, ha invece per la prima volta parlato della necessità di «innovare il sistema della previdenza privata». L’annuncio, insomma, di una riforma dei fondi pensione, il cui funzionamento è ancorato a uno schema pensato nel 2005. Pur non riguardando direttamente la previdenza pubblica, non è un’apertura da poco. Nell’ultima manovra si era discusso, per esempio, di riaprire una finestra di “silenzio-assenso” per trasferire il Tfr dei lavoratori nella previdenza complementare. La proposta era stata bloccata dalla Ragioneria generale dello Stato, per l’impatto che avrebbe avuto sui conti dell’Inps, che incassa il trattamento di fine rapporto lasciato dai dipendenti nelle aziende con più di 50 dipendenti.
Pensioni, buco da 6,6 miliardi: allarme Inps su contributi non versati e stralciati. Cosa comporta
Una soluzione più sostenibile, sarebbe già stata individuata: un obbligo di contribuzione verso i fondi pensione soltanto per i neo assunti. Nell’ultima manovra, inoltre, è stata introdotta la possibilità di un accesso anticipato alla pensione per i lavoratori che sono nel sistema contributivo, quelli che hanno iniziato a versare all’Inps dal primo gennaio del 1996. Le nuove norme permettono di sommare la pensione privata a quella pubblica per poter lasciare il lavoro in anticipo. Da quest’anno ci si potrà pensionare a 64 anni con 25 di contributi, avendo maturato una pensione pari ad almeno tre volte l’assegno sociale, vale a dire circa 1.600 euro mensili. Questa soglia può, appunto, essere raggiunta anche sommando la rendita della pensione complementare. Dal 2030 gli anni di lavoro necessari ad attivare questo scivolo diventeranno 30.
IL PASSAGGIO
Una possibilità sarebbe quella di permettere l’accesso al pensionamento anticipato per questa via, anche ai lavoratori assunti prima del 1996, ma che accettano di vedersi ricalcolato l’assegno usando i criteri più penalizzanti del sistema contributivo. Una sorta di scambio tra l’anticipo della pensione e un assegno più basso. Ieri un’apertura a ulteriori forme di flessibilità in uscita per chi si trova nel sistema contributivo, è arrivata dalla Banca d’Italia. «In linea di principio», ha detto il vice capo del dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia, Andrea Brandolini, nel corso dell'audizione convocata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica, «le caratteristiche del sistema contributivo potrebbero consentire, per chi è pienamente soggetto alle nuove regole, forme ulteriori di flessibilità in uscita; si potrebbero anche introdurre», ha aggiunto, «forme di rendimento minimo garantito in modo da ridurre i rischi di natura macroeconomica a cui sono esposti gli assicurati».
Si tratterebbe insomma, di inserire anche nel sistema contributivo, che oggi ne è sprovvisto, un meccanismo di adeguamento al minimo della pensione, per evitare che i lavoratori precari o con carriere discontinue, ricevano assegni sotto il limite della sussistenza. Sempre sul fronte delle pensioni, il Dfp, il documento di finanza pubblica appena presentato dal governo alle Camere, conferma che l’aumento di tre mesi dell’età di pensionamento a partire dal 2027 sarà congelato. Significa che si potrà continuare a lasciare il lavoro con 67 anni di età o 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e un anno in meno per le donne.
Intanto secondo il Comitato di vigilanza dell’Inps, a causa dello stralcio dei crediti contributivi fino al 2015, decisi con i provvedimenti introdotti tra il 2018 ed il 2022, nei prossimi anni bisognerà trovare 6,6 miliardi a copertura dei contributi mancanti per le pensioni dei lavoratori dipendenti. Il Civ ha chiesto quindi di incrementare i trasferimenti statali all'Istituto per coprire il buco che si determinerà nei prossimi anni. Un allarme definito «infondato» dal sottosegretario al lavoro Claudio Durigon. Si tratta in effetti di crediti datati nel tempo e di importi non superiori a 5 mila euro, la cui esigibilità era considerata dubbia.
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