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Processo Regeni, uno degli imputati egiziani partecipava ai depistaggi

6 mesi fa 3
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ROMA. È la giornata degli investigatori oggi al processo sul caso di Giulio Regeni, scomparso il 25 gennaio 2016 al Cairo e ritrovato senza vita il 3 febbraio 2016.

I primi due interventi sono di due dirigenti dello Sco (Servizio centrale operativo ) della polizia, interrogati dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco.

Alessandro Gallo, che ha indagato al Cairo, ribadisce i depistaggi messi in atto da parte della polizia e della National Security egiziane. Al punto che addirittura uno degli imputati, il colonnello Uhsam Helmi, era uno di quelli che partecipavano all’inchiesta.

Si può immaginare in che modo, se si pensa che nei suoi confronti e degli altri imputati, il generale Tariq Sabir, il colonnello Athar Kamal e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif, la Procura contesta, a seconda delle posizioni, il concorso in lesioni personali aggravate, omicidio aggravato e sequestro di persona aggravato. Al centro del procedimento anche le torture a cui è stato sottoposto Giulio per nove giorni prima dell’omicidio.

Vincenzo Nicoli, che era il capo della seconda divisione Sco, ricorda il muro di gomma degli egiziani che hanno provato in tutti i modi a depistare le indagini proponendo le ipotesi più disparate per giustificare la morte del ricercatore friulano. Dall’incidente stradale, alla pista omosessuale, fino al litigio di fronte al consolato egiziano e alla rapina finita male (per cui vennero uccisi i i presunti rapinatori che in realtà nulla c’entravano con l’omicidio di Giulio).

In aula come sempre i genitori della vittima, Claudio e Paola Regeni.

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