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Quei tremila soldati nordcoreani sacrificati per lo Zar Vladimir

18 ore fa 2
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«Noi i nordcoreani li mandiamo avanti all’assalto e poi li seguiamo», dice un prigioniero russo agli ufficiali ucraini che lo interrogano. I soldati di Kim Jong Un mandati a combattere a fianco dei militari russi non stanno più nelle retrovie della regione di Kursk, come gli aveva promesso Mosca: vanno all’attacco, nei cosiddetti «assalti al macello», come vengono chiamati nelle trincee russe. E i risultati di questa tattica cominciano a farsi sentire: secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il numero dei militari nordcoreani uccisi o feriti al fronte russo ha superato i 3 mila uomini.

Un numero enorme, considerando che ufficialmente la Corea del Nord avrebbe inviato in soccorso a Vladimir Putin circa 12 mila soldati. Quindi, un quarto di quella forza militare è già stato fatto fuori. Del resto, nelle ultime settimane l’avanzata ordinata dal Cremlino ha portato il numero dei caduti russi a livelli record di 1.500-1.700 uomini al giorno, e a questo ritmo non stupisce che anche i soldati di Kim finiscano nel tritacarne impazzito dell’offensiva che Putin vuole a tutti i costi spingere il più avanti possibile, prima dell’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump.

Il Comando unificato della Corea del Sud valuta le perdite del nemico del Nord a un livello più contenuto: più di 1.100 morti e feriti, indica una dichiarazione ufficiale dell’esercito di Seul. Secondo l’intelligence sudcoreana, le perdite tra i soldati di Kim sono particolarmente elevate, non soltanto perché operano su un terreno per loro non familiare e non sono integrati (anche linguisticamente) nella catena di comando russa, ma anche perché hanno difficoltà con i droni ucraini, una tecnologia bellica che non sono mai stati addestrati a fronteggiare.

Una lacuna che Pyongyang si prepara a colmare in tempi accelerati: un mese fa Kim Jong Un si è fatto fotografare in un poligono di collaudo dei droni kamikaze nordcoreani, e ha ordinato ai suoi uomini di incrementarne rapidamente la produzione. Fonti sudcoreane hanno riferito al Wall Street Journal che circa 200 fabbriche militari nel Nord stanno “lavorando a pieno regime”, e dalle immagini satellitari sembrano espandere i loro impianti di produzione. Soltanto negli ultimi giorni sono stati pubblicati due video che mostrano convogli di armi nordcoreane in territorio russo, diretti verso ovest: almeno 25 obici semoventi Koksan, con gittata fino a 60 chilometri, e un numero imprecisato di razzi a media gittata.

Nessuna di queste armi finora è stata avvistata al fronte, ma Zelensky ieri ha messo in guardia contro «il rischio dell’invio di altri soldati e armamenti nordcoreani», una minaccia confermata anche dagli 007 di Seul. Una cooperazione che è già valsa a Kim almeno 6 miliardi di dollari inviati da Putin, insieme a forniture energetiche e di materiali.

Ma quello che fa più paura, soprattutto a Seul e Tokyo, è il rischio che Mosca conceda a Pyongyang tecnologie missilistiche e nucleari avanzate. Zelensky non a caso ha avvertito di un «rischio di destabilizzazione regionale», un messaggio anche al governo di Seul, reticente finora ad aumentare gli aiuti militari per Kyiv. Secondo le rivelazioni fatte ieri dal New York Times, non sarebbe stato Putin infatti a chiedere il coinvolgimento dei nordcoreani al fronte: l’idea sarebbe partita da Kim, che in cambio vuole ottenere da Mosca protezione diplomatica e tecnologie militari.

Un obiettivo al quale sacrifica senza esitazioni i suoi soldati: i numerosi video girati dai militari ucraini mostrano decine di cadaveri di nordcoreani rimasti sul campo di battaglia a Kursk.

Il numero delle perdite dei soldati di Kim rimane un segreto che sia Mosca che Pyongyang vorrebbero tutelare. Gli ucraini hanno catturato dei militari nordcoreani che avevano documenti russi grossolanamente falsificati, dai quali risultavano appartenere a etnie della Russia asiatica come tuvini e buriati. Zelensky qualche giorno fa aveva riferito anche di casi in cui i soldati russi venivano incaricati di bruciare i volti dei loro compagni nordcoreani caduti per evitarne l’identificazione. Un’atrocità che per ora non ha avuto conferme inconfutabili, mentre le testimonianze di un impiego massiccio – e cruento – dei soldati di Pyonyang al fronte, e non soltanto nelle retrovie come Mosca aveva promesso prima, sono troppo numerose per dubitarne.

Dai racconti dei prigionieri russi, Kim ha inviato al fronte non soltanto una fanteria che «combatte con tattiche di 70 anni fa», ma anche alcune delle sue truppe scelte, che ricevono una razione doppia e sono particolarmente «crudeli e spietati all’assalto».

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