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Quelle piazze che congelano le differenze

2 giorni fa 2
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In fondo, era già tutto previsto in questo week end di manifestazioni. La piazza di Bologna è il remake di quella di Roma: una distesa di bandiere blu per l’Europa, più preoccupata che scapigliata, per nulla rabbiosa. La classica piazza del Pd di queste parti. Un popolo cresciuto quando, per citare Francesco Guccini in omaggio al luogo, «il mondo era ancora intero» e smarrito ora che quel mondo va a pezzi: la democrazia, la pace nella libertà, il multilateralismo. Per dirla con uno slogan: una piazza profondamente contro Trump. Dentro questa cornice albergano sensibilità diverse sul tema del piano di riarmo, il vero punto di dolente. Perché i valori sono chiari, il “che fare” e “quale Europa” sul terreno della difesa e della sicurezza, un po’ meno, nonostante si avverta l’urgenza della minaccia.

Quella dei Cinque stelle del giorno prima è, come sentimento e linea, praticamente l’opposto: piazza rabbiosa, “contro” il mitico establishment europeo e nazionale (di cui fa parte il Pd quando sostiene l’Ucraina e non solo), che considera la difesa e la sicurezza non una precondizione della democrazia ma un business costoso per i bisognosi, indulgente su Putin, che non è un autocrate ma uno con cui l’Europa non sa parlare, insofferente con Zelensky, che non è un leader di una resistenza ma un rompiscatole che non si arrende, ultra-indulgente con Trump, vero campione della pace, altro che i governi europei. La fa facile Gad Lerner a dire, dal palco di Bologna, che le due piazze sono «complementari e non contrapposte», quando l’elemento divisivo è di fondo. E riguarda una certa idea di democrazia. Da una parte è percepita come minacciata a Est come a Ovest, dall’altra non scandalizza più di tanto la prospettiva di un nuovo ordine mondiale fondato su un accordo tra Trump e Putin sulla pelle dell’Europa. Può anche andare bene, basta che ne tragga giovamento il portafoglio.

Fin qui, appunto, era già tutto previsto. E tuttavia questo week end aggiunge un elemento alla storia di rapporti complicati nel cosiddetto campo largo. Solitamente, da che mondo è mondo, è sempre accaduto che la piazza sia risolutiva delle contraddizioni politiche. In qualche modo viene convocata proprio per scioglierle, fissando un punto di avanzamento: ci sono dei nodi da risolvere, si butta il cuore oltre l’ostacolo e, come si diceva una volta, «il popolo indica la strada». Qui le strade indicate sono radicalmente divergenti e proprio l’elemento popolare congela le differenze. Le rende difficilmente superabili. La piazza dei Cinque stelle congela e rafforza una posizione non negoziabile di Giuseppe Conte sulle armi. Quella per l’Europa congela l’irrisolto del Pd: con tutte le fumisterie del «sì all’esercito comune, astensione sul piano Ursula», con tutto che da tempo quel partito ha rinunciato a sfidare il populismo a cinque stelle, conquistandolo alle proprie ragioni, nonostante tutto però quella piazza rappresenta una cornice valoriale non negoziabile, pena la mutazione genetica e sfracelli dentro il Pd.

Bologna, il video di Prodi a Una piazza per l'Europa "Corriamo verso il futuro non c'è più tempo"

Insomma, l’unico punto di contatto è il «mettiamoci assieme contro Giorgia Meloni». Un già visto che non funziona. È ampiamente dimostrato quanto le coalizioni “contro” siano state l’elisir di lunga vita per Silvio Berlusconi. E, nell’ambito di questo quadro cristallizzato, sarà più difficile gestire Conte, che esce rafforzato dalla sua esibizione muscolare. E dirà: l’alleanza si fa alle mie condizioni. Testardamente contrapposte, non complementari.

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