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Elisa Calessi 11 novembre 2024
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«La classe dirigente» di sinistra negli Usa come in Italia, «non si rende conto della condizioni difficili in cui vive la gente». «Meno spocchia e più cura delle persone». Pensano che basti la «mostrificazione» dell’avversario o arruolare lo star system, non capendo che «il confronto con chi ha successo non fa che approfondire il solco» con chi sta peggio. Lo dice con amarezza, Antonio Padellaro, già direttore dell’Unità, poi del Fatto Quotidiano, ora editorialista, opinionista, scrittore, uomo di sinistra. E però, con grande nettezza e lucidità, indica le somiglianze tra gli errori commessi dalla sinistra di qua e di là dall’Oceano.
Cominciamo dai voti che sono mancati ai Democratici americani: neri, donne, ispanici. Le minoranze. Perché?
«I motivi sono tantissimi. Certamente il ritardo con il quale si è compreso che Joe Biden non era in grado di sostenere la competizione con Trump per ragioni soprattutto di età, poi il fatto che si sia scelta la vice, Kamala Harris, che non aveva grandissima esperienza politica. Ha fatto quello che poteva, ma il peso diverso - non solo fisico - dei due candidati, ha certamente giocato. Poi c’è stato un problema che riguarda i temi affrontati. E qui arriviamo al punto».
Qual è il punto?
«L’inflazione, la famosa bottiglia di latte venduta al 2% in più, e l’immigrazione incontrollata, temi a cui Trump ha risposto annunciando misure draconiane come i dazi e la deportazione di massa, hanno fatto breccia. Mentre i temi sollevati da Kamala Harris... boh. Se dovessi ricordarmi qualcosa di potente della campagna elettorale dei Democratici, non saprei cosa dire. Il mondo mediatico, più che Harris, ha puntato tutto sulla mostrificazione di Trump, pensando che questo argomento bastasse a sconfiggerlo, mentre non ha funzionato».
L’altro mondo venuto clamorosamente a mancare ai Democratici (e anche qui le somiglianze con l’Italia impressionano) sono i lavoratori. Perché?
«Io non so se negli Usa avvenga ciò che avviene in Italia a proposito del centrosinistra, per cui, come ha detto Sabrina Ferilli in un’intervista al Fatto Quotidiano, siamo di fronte ad “élite che parlano con le élite”, io aggiungerei: élite che parlano con se stesse. Mi sembra un soliloquio quello che avviene in Italia e che estromette dal dibattito pubblico tutte le categorie che sarebbero interessate a capire cosa la sinistra può fare per migliorare le loro condizioni economiche. Per esempio: mi dispiace dirlo, ma quando crei un blocco totale del mezzi pubblici come l’altro giorno, fai qualcosa di potente sul piano della comunicazione, ma misi stringeva il cuore vedendo persone che andavano a guadagnarsi il pane aspettare per ore un mezzo che non sarebbe arrivato. Il sindacato dovrebbe riflettere. Ed è solo un esempio per dire come spesso la politica, la classe dirigente si rende poco conto delle condizioni difficili in cui vive la gente. Per dirla sinteticamente: diritti civili più Lady Gaga suscitano molto inte resse ma non fanno vincere».
Harris ha puntato molt i s s i m o sull’aborto, pensando che sarebbe stato un tema decisivo. Invece la famosa bottiglia di latte ha pesato di più. Corre lo stesso rischio il Pd?
«Qualcuno ha definito il Pd un partito radicale di massa. Non è una ingiuria, il Partito Radicale ha fatto battaglie straordinarie. Ma il Pd aspira alla guida del Paese e dunque non può limitarsi a battaglie identitarie odi genere, sa crosante come il diritto all’aborto, che peraltro in Italia non mi sembra minacciato. L’altro giorno ho scritto un articolo che cominciava così: “La Liguria in Pennsylvania”. Perché tanti difetti della sinistra, di qua e di là, si assomigliano. Federico Rampini ha parlato dell’élite progressista che “trasuda disprezzo classista verso gli elettori di destra”. Ecco: non aiuta anche questo atteggiamento per cui l’avversario è sempre qualcuno che non è degno di governare. Servirebbe meno spocchia e più cura dei problemi delle persone».
Perché la sinistra di qua e di là dall’Oceano non riesce più a parlare con i settori più in difficoltà della società? Cosa si è rotto?
«C’è una fatica a guardare alla vita delle persone o almeno a comunicarlo. Io sono sicuro che Schlein o Conte sono interessati alla vita delle persone, ma ne parlano poco. Soprattutto in televisione sono trascinati a inseguire polemiche che lasciano il tempo che trovano. Per esempio, ho trovato bizzarra la polemica sulla frase di Giorgia Meloni sui diritti sindacali (“Sto male”, ha detto la premier, a proposito della sua influenza, “ma non avendo particolari diritti sindacali sono a Budapest per il Consiglio europeo a fare il mio lavoro", n.d.r.). Frase certamente polemica, ma era una battuta, non un insulto ai lavoratori o al sindacato. Mentre si è proseguito con la Meloni che ha parlato di sinistra al caviale e Schlein che ha replicato, dicendo che il caviale è meglio dell’olio di ricino... Tutte cose che non solo non funzionano, ma danno noia. Vanno bene in un talk show, ma quando devi parlare al Paese, soprattutto stando all’opposizione, devi trovare argomenti forti».
Anche l’appoggio quasi totale dello star system ai Democratici americani non ha portato bene. C’è un’ altra lezione per la sinistra italiana?
«Il problema è che il confronto con i troppo belli, con le persone di successo, non fa che approfondire il solco con chi deve fare il conto con lavori sottopagati, chi deve confrontarsi con la violenza suburbana. Gli attori, gli influencer, sono personaggi certamente amati, ma parlano d’altro rispetto alla vita quotidiana di chi, dopo essere stato al concerto della star, deve fare i conti con una realtà durissima. E non funzionano neanche più gli appelli degli intellettuali, perché vengono visti come di parte, faziosi».
Un consiglio alla sinistra italiana?
«Viviamo in un’epoca difficile e complicata, bisogna andare al sodo. Il tempo delle figurine Panini, della sinistra che candidava gli intellettuali e gli attori, è finito».