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Mai come in queste ultime settimane Putin ha voluto mandare messaggi al mondo, spesso contraddittori. Sempre più spesso rilascia dichiarazioni, parla di pace, poi fa retromarcia. «Vogliamo chiudere la guerra, non congelarla», ha detto ieri. Poi però ha aggiunto che tra i propositi per il 2025 c'è quello di portare «a termine tutti gli obiettivi dell'operazione militare speciale» e quindi raggiungere «il successo sulla linea del fronte». Sul campo i fatti dicono che la Russia continua a bombardare l'Ucraina, minaccia l'uso del famigerato missile Oreshnik, ora a disposizione anche dell'alleato bielorusso Lukashenko. L'obiettivo è la riconquista del Kurks, l'avanzata nel Kherson e in Donbass, così da presentarsi con più forza al cospetto di Trump in una eventuale trattativa e spingere Zelensky a ridimensionare le sue speranze. Ma è sottotraccia che lo zar sta muovendo i fili del suo piano di espansione. Spionaggio, sabotaggi e azioni di disturbo: tutti elementi che vanno a costruire il puzzle della sua guerra ibrida alla Nato e all'Occidente. E l'ultimo fronte aperto si snoda nel gelo del Mar Baltico e della Finlandia, dall'aprile 2023 nuovo membro dell'Alleanza Atlantica. Per questo motivo «la Nato rafforzerà la sua presenza militare nel Mar Baltico», ha annunciato oggi il segretario generale Mark Rutte, dopo una telefonata con il presidente finlandese Alexander Stubb. «Ho parlato con Stubb dell'indagine finlandese in corso sul possibile sabotaggio dei cavi sottomarini. Ho espresso la mia piena solidarietà e il mio sostegno», ha riferito Rutte su X.
La minaccia alla Finlandia e al Mar Baltico
Fonti della Nato hanno riferito alla testata di Helsinki Iltalehti che la Russia starebbe preparando un attacco alla Finlandia e ad altri paesi dell'area orientale della Nato. Al momento si tratta di esercitazioni, una sorta di simulazione di guerra. Il piano di Putin mirerebbe ai confini della pace di Turku del 1743. In tal caso, le forze d'invasione russe vorrebbero spingersi fino a Kymijoki. Più a nord, l'obiettivo dell'attacco sarebbe Puumalansalmi. L'obiettivo sarebbe quello di creare una zona cuscinetto controllata da Mosca in Europa, dalla regione artica attraverso il Mar Baltico e il Mar Nero fino al Mar Mediterraneo. Secondo la valutazione della minaccia della Nato, gli attacchi missilistici russi avrebbero preso di mira anche Helsinki. La principale direzione di attacco dei russi sarebbe nei Paesi Baltici. Nel suo discorso annuale del 19 dicembre infatti, Putin ha affermato che la Russia ha «forze e mezzi sufficienti per ripristinare tutti i suoi territori storici». In precedenza, lo zar aveva definito come suo ideale l’impero russo del XVIII secolo. A rischio quindi ci sarebbero Estonia, Lettonia e Lituania. Ma anche la Finlandia sudorientale.
La guerra ibrida e i sabotaggi
I primi passi si stanno compiendo in quella che ormai è una vera e propria guerra ibrida, una Guerra fredda dei giorni nostri. L'ultimo incidente avvenuto mercoledì sera ha coinvolto un condotto elettrico e quattro cavi di telecomunicazione nelle acque che collegano l'Estonia con la Finlandia. Sin dal primo momento le autorità di Helsinki hanno pensato ad un sabotaggio, l'ennesimo in pochi mesi. I sospetti sono vertiginosamente aumentati quando, qualche ora dopo, la Guardia costiera ha abbordato (armata) e scortato fino alla terraferma le petroliera Eagle S, nave battente bandiera delle isole Cook, ma una delle tante imbarcazioni che vanno a comporre l'esercito delle (almeno) 400 navi della flotta ombra russa. Una rete di petroliere con proprietà oscure grazie alle quali Mosca da tempo aggira le sanzioni sull'export di greggio. Il primo allarme è scattato nella tarda mattinata del giorno di Natale, quando il cavo elettrico Estlink 2 che porta energia dalla Finlandia all'Estonia è stato tranciato. Meno di 24 ore dopo le autorità hanno rilevato danni ad altri quattro cavi, questa volta di telecomunicazione. Tre collegano la Finlandia all'Estonia, il quarto il Paese scandinavo con la Germania. L'incidente non ha portato conseguenze per la popolazione, con la Finlandia che si è subito impegnata a far arrivare energia a Tallin da altre fonti. Le prime indagini non hanno chiarito se i cinque cavi sono stati danneggiati dalla stessa mano ma nella serata di mercoledì la Guardia costiera finlandese ha bloccato la petroliera Eagle S. L'imbarcazione, ora ferma nei pressi della penisola di Porkkalaniemi, non aveva ancore e gli inquirenti ipotizzano che sia stata proprio questa l'arma usata per i sabotaggi. L'ipotesi che l'incidente sia stato un attacco alle infrastrutture critiche europee nel giro di una manciata d'ore è diventata quasi una certezza. Ma anche nel Mediterraneo la Nato è in allerta. Nelle ultime settimane sono state molte le operazioni dell'Alleanza altantica che ha perlustrato i nostri mari per controllare le attività delle navi russe. L'ultima ieri che ha coinvolto anche un aereo dell'Aeronautica militare italiana in sorvolo sopra tre imbarcazioni di Mosca nello Stretto di Sicilia.
I precedenti e le sanzioni
Solo il mese scorso sono stati tranciati due cavi per la telecomunicazione che collegano Danimarca e Svezia e i sospetti sono caduti sulla nave cinese Yi Peng 3. Lunedì scorso Pechino ha respinto la richiesta di indagini dei procuratori svedesi affermando che l'imbarcazione ha lasciato l'aerea. Lo scorso 16 dicembre l'Ue ha dato il via libera al quindicesimo pacchetto di sanzioni, che include 79 navi della flotta ombra di Mosca. lotta che, secondo gli esperti, può tuttavia contare su 400 imbarcazioni. Tutto ruota ancora una volta attorno all'energia, bersaglio prioritario di Mosca non solo in territorio ucraino. Con un'appendice che è destinata ad aggravare il quadro. Il 31 dicembre scadrà il contratto che prevede il transito dell'energia fornita da Gazprom attraverso l'Ucraina. Tre sono i Paesi Ue maggiormente interessati: Austria, Slovacchia e Ungheria. Non a caso gli ultimi due sono ormai la testa di ponte del Cremlino nel cuore dell'Europa.
Le mosse della flotta ombra russa
Ma come si muove la flotta ombra di Putin? L’Occidente ha imposto severe sanzioni contro le importazioni di petrolio russo e ha imposto un limite a quanto Mosca possa guadagnare dal loro greggio. L'Unione europea e il G7 hanno introdotto il cosiddetto price cap, che mira a far scendere il prezzo del petrolio russo a 60 dollari al barile. Le sanzioni vietavano alle compagnie occidentali di facilitarne il trasporto verso paesi terzi se era più costoso del prezzo massimo fissato. In generale, tuttavia, la Russia è riuscita a vendere il petrolio a un prezzo molto più alto del tetto massimo dei prezzi, e ciò è dovuto soprattutto all'utilizzo della sua flotta ombra, con la quale commerciano anche alcune aziende scandinave. Mosca evita però queste limitazioni spedendo il petrolio su vecchie e fatiscenti petroliere con proprietari sconosciuti o inesistenti, registrate in paesi come la dittatura militare del Gabon, favorevole a Putin, e per quest'ultimo caso della Eagle S, degli Emirati Arabi Uniti. Salpano dai grandi porti petroliferi russi nel Golfo di Finlandia e fanno un'ultima sosta all'ancoraggio di Skagen, in Danimarca, dove possono fare rifornimento di carburante, acquistare pezzi di ricambio e provviste e ottenere aiuto per il cambio degli equipaggi, prima di imbarcare il petrolio verso nazioni come l'India. Per questo motivo tre società danesi sarebbero finite nel mirino delle autorità per il loro supporto a queste operazioni. I dati di Kpler e MarineTraffic mostrano che nel 2024 le compagnie avrebbero aiutato e movimentato almeno 59 navi della flotta ombra. In realtà, però, potrebbero esserci molte più navi, poiché la ricerca copre solo una piccola parte delle navi da rifornimento delle compagnie. Sul tema si è espresso oggi il presidente della Finlandia, Alexander Stubb, che ha fatto appello su X per «eliminare» il rischio posto dalla «flotta fantasma» di navi russe, reagendo così al nuovo caso di cavo sottomarino interrotto.