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Il fatidico “sì”. Però non per sempre. Tuttalpiù di prova. Per-vedere-di-nascoso-l’effetto-che-fa. Per indossare l’abito bianco almeno una volta, perla cerimonia, il buffet e (vai a sapere, magari pure) la lista nozze; purché non sia per la vita. Non per quella promessa indissolubile, non-osi-dividere-l’uomo eccetera eccetera, in salute e in malattia, finché-morte-non-vi-separi. Più per tentativo. Come se fosse un test, un collaudo: un esperimento, toh. Non-ci-credo-ma-ci-provo. Per la Corte di Cassazione non c’è nulla di male. Anzi, non c’è nulla da risarcire: va bene così: lo-voglio, per ora, poi chissà, forse stavamo solo scherzando (epperò, in questo modo, va a farsi benedire un po’ ogni cosa). I fatti, ché la giurisprudenza parte sempre dai fatti: sul tavolo dei giudici di piazza Cavour, a Roma, nei giorni scorsi, c’è un ricorso particolare. L’ha intentato un uomo che chiede un indennizzo alla sua (ex) moglie.
Lei, sostiene lui, quando si è sposata non l’ha fatto con l’intenzione di passare assieme il resto dei loro giorni, l’ha fatto così, per prova appunto.
Non s’è inventato niente, questo signore gabbato nel dì più bello di tutti, quello che dice è vero e lo prova: l’(ex) moglie, sei mesi dopo i fiori d’arancio, s’è rivolta a un altro tribunale, quello ecclesiastico, e ha chiesto che le venisse sciolto il loro vincolo. Il motivo è proprio quello: non ha mai creduto, la donna, nell’indissolubilità del legame matrimoniale, fine della storia (d’amore) e inizio del lavoro (degli avvocati). La nullità delle nozze religiose è del 2011 dato che sì, il tribunale ecclesiastico le dà ragione (per cui quell’intenzione di ritrovarsi all’altare “per prova” una prova a sua volta ce l’ha: è andata proprio così). Solo che l’(ex) marito, a questo punto, si sente tradito. Manco puoi fargliene una colpa. Lui pensava è-quella-giusta-invecchieremo-insieme, lei immaginava tutt’altro: e si rivolge al tribunale civile e poi all’appello e poi anche alla suprema corte perché, cribbio, dei danni li ha subiti sul serio, materiali (ma quello è il meno) e pure morali, gli è crollato il mondo sotto le scarpe.
Niente. Il primo grado va maluccio, il secondo male e il terzo chiude definitivamente la questione: a lui non spetta neanche un centesimo di risarcimento, ché se uno si sposa, in Italia, nell’anno domini 2024, in totale libertà e senza costrizione ma solo per “saggiare” come ci sente a portare la fede al dito, be’ può far arrabbiare quanto gli pare l’altra metà della mela ma non gli deve il becco di un quattrino. È scritto, in legalese, nell’ordinanza numero 28390 della Cassazione (datata 5 novembre): uno ha il sacrosanto diritto di troncare un legame matrimoniale che lo vincola perché è una libertà individuale che ci garantisce la Costituzione (vedi gli articolo 2 e 29 nei quali non sta scritto da nessuna parte che dev’essere “per sempre” a tutti i costi) e a questo non segue in automatico alcun dovere di indennizzo. Tutto perfetto, per carità: ché ci teniamo strette conquiste come quella del divorzio e nessuno le mette in discussione, sicuramente non qui, però, allora, forse, il problema sta a monte. Sta, cioè, che quando si decide di fare il grande passo bisognerebbe prenderla un tantino più seriamente.
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IL GRANDE PASSO
Primo perché non ce lo ordina il medico (e non è un caso che ci si sposi sempre di meno) e secondo perché se non diamo importanza a un matrimonio a cosa la diamo? Osi è convinti o, al giorno d’oggi, ci sono tantissime altre possibilità che garantiscono, più o meno nella stessa maniera, una vita di coppia felice e contenta. Tra l’altro ci sarebbe anche quella cosuccia dell’essere sinceri col proprio partner in ogni circostanza: nascondergli (nasconderle) un fatto centrale come la non convinzione nell’amore eterno, così a occhio, non è il primo mattone perla costruzione di un connubio perfetto. Costituzione o non costituzione. E persino al netto delle leggi e delle procure che ci consentono (per fortuna) di chiudere un’unione che non soddisfa più. Però, ecco, difendere il diritto al divorzio non significa aprire la strada alla “sconsacrazione” (laica perché lo stesso discorso si applica all rito civile e a quello in chiesa) del matrimonio. Sposarsi solo per vedere com’è, insomma, non vale la candela.