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Il detto “canta che ti passa” si addice a un dipendente della Compagnia Trasporti Laziali (Cotral) che, pur avendo presentato un certificato di malattia perché affetto da una sindrome di ansia, era andato la sera a cantare in un piano bar (una sorta di secondo lavoro). La Cassazione infatti, il 29 novembre scorso, ha confermato la sentenza con cui due anni prima la Corte d’appello di Roma aveva decretato che questa attività canora «poteva giovare alla guarigione» del lavoratore e, di conseguenza, che l’azienda lo aveva licenziato in modo illegittimo.
Il licenziamento
Il 26 febbraio 2020, Cotral aveva comminato la sanzione della destituzione di un suo dipendente perché nella giornata del 6 aprile 2019 aveva comunicato di trovarsi in stato di malattia ma, nel frattempo, «aveva svolto attività del tutto incompatibili con tale stato, non aveva rispettato le fasce di reperibilità per le visite fiscali e si era, altresì, dedicato ad altra attività lavorativa (come cantante/musicista di piano bar)». Mentre nelle giornate del 9 e 16 marzo 2019, per le quali aveva chiesto di usufruire dei permessi concessi dalla legge 104/1992, «si era dedicato in maniera prevalente ad attività personali prestando assistenza al padre solamente per un limitato periodo orario». Il dipendente aveva quindi impugnato il recesso davanti al Tribunale di Roma che gli aveva dato ragione, dichiarando illegittimo il provvedimento di licenziamento e condannando la società a reintegrarlo nel posto di lavoro e a pagargli un’indennità risarcitoria pari a 2.127 euro. Il 12 ottobre 2022 la Corte d’appello aveva confermato la pronuncia di primo grado con una motivazione parzialmente differente: «Avendo riguardo alla patologia da cui era affetto il lavoratore (ansia), l’impegno in attività ricreative non configurava in sé un comportamento incompatibile con la dichiarata condizione depressiva, anzi poteva giovare alla guarigione».
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Le motivazioni
«Entrambi i giudici di merito hanno valutato, in pratica, la circostanza della mancanza, in concreto, di una condotta del lavoratore pregiudizievole alla guarigione della sua patologia allo stesso modo - si legge nella sentenza della Cassazione - In secondo luogo, va rilevato che, in ogni caso, il datore di lavoro (Cotral, ndr) non ha dimostrato, come era suo onere l’incompatibilità dell’attività svolta con la ripresa psico-fisica, limitandosi solo ad obiettare che l’avere trascorso una intera giornata fuori casa per avere partecipato ad una serata musicale quale cantante di piano bar mal avrebbe reagito con la sindrome di ansia di cui (il dipendente, ndr) era affetto, senza però fornire alcun riscontro obiettivo, di qualsivoglia natura». Per giunta, «lo svolgimento di un’attività lavorativa per una sola serata senza autorizzazione» rappresenta secondo gli Ermellini un «inadempimento lieve». Riguardo invece i permessi concessi dalla legge 104, il contratto collettivo nazionale degli autoferrotranvieri li prevede solo giornalieri, e non orari, «con la conseguenza - specifica la Suprema Corte - che deve ritenersi logicamente legittima la fruizione di una giornata di permesso anche per fornire un’assistenza al familiare disabile limitata ad un’ora».
La Cassazione, in definitiva, ha stabilito che, rispettando le fasce orarie di reperibilità per consentire la visita fiscale, il dipendente “coperto dal certificato medico” può svolgere attività ricreative. A meno che l’azienda non dimostri che tali attività siano incompatibili con la patologia (come un lavoratore assente per una lombosciatalgia “pizzicato” a giocare a tennis) oppure ritardino la guarigione e il rientro in servizio. Per esempio, la Procura capitolina aveva chiesto il processo con l’accusa di truffa per Ezio Capri, l’ex autista Atac sosia di Franco Califano, anche lui sorpreso a cantare in locale notturno nei giorni di malattia, sostenendo che «una colica addominale e l’ipertensione nervosa lamentati mal si conciliavano con le esibizioni in pubblico visto che determinano sicuramente stress psico fisico sconsigliato a un soggetto debilitato». Ma entrambi i procedimenti nei confronti del “Califfo” della municipalizzata romana dei trasporti si sono conclusi con sentenze di non luogo a procedere per prescrizione.