Era l’estate 2020 quando l’allora governo Conte 2 approvò il Superbonus al 110%. Una misura che ha avuto un impatto di quasi 150 miliardi di euro sul bilancio dello Stato: se da un lato ha contribuito a riattivare la crescita spingendo l’edilizia, dall’altro ha fatto esplodere i conti pubblici. In meno di quattro anni le modifiche introdotte ai bonus edilizi e alla normativa della cessione del credito sono state più di quaranta e hanno prodotto 320 mila “esodati” tra famiglie e imprenditori, per un totale di 30 milioni di euro di crediti incagliati. Persone che sono rimaste senza liquidità a causa delle misure che sono state via via introdotte: contribuenti e artigiani che pur avendo il diritto di usufruire del 110% si sono ritrovati il cantiere fermo e la ditta fallita. Con l’ultimo Consiglio dei ministri il governo di Giorgia Meloni ha messo definitivamente una pietra tombale sullo sconto in fattura e la cessione del credito, ovvero la possibilità per le famiglie di fare i lavori senza anticipare i soldi. Questo decreto però è una sorta di tagliola che va a escludere diverse opzioni per chi sta ristrutturando un immobile, rischiando di creare nuovi “esodati” del Superbonus. Se si prende in considerazione il 2023, la platea potenziale coinvolge centomila immobili (tra condomini, unifamiliari e abitazioni indipendenti) per un ammontare di detrazioni maturate pari a 50 miliardi di euro.
Cessione il 4 aprile o addio
L’ultimo decreto - voluto fortemente dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a due settimane dal Def - fissa al 4 aprile la deadline per comunicare la cessione del credito sulle spese del 2023. Il provvedimento è stato approvato a Palazzo Chigi martedì, quindi concede a famiglie, imprese e professionisti sei giorni di tempo - con la Pasqua di mezzo - per mettersi in regola. Il decreto elimina la seconda data prevista, quella del 15 ottobre, su cui molte persone contavano per avere più tempo per cedere il credito, anche se avrebbero dovuto pagare una multa di 250 euro (la cosiddetta remissione in bonis).
Chi non riuscirà a comunicare entro giovedì la cessione del credito a una banca o a un’impresa per usufruire del 110% sulle spese del 2023, rischia di perdere anche la possibilità di detrarre quei lavori al 65% o al 50%. Questo perché le spese con il Superbonus sono mediamente molto alte e solo i contribuenti che hanno un’ampia capacità fiscale (oltre i 50 mila euro di reddito) riescono a recuperare le spese mettendole in detrazione nella dichiarazione dei redditi.
La Cilas non basta
C’è poi un’altra norma che cancella in maniera retroattiva migliaia di cantieri. In sostanza, chi ha presentato la comunicazione asseverata di inizio lavori (la Cilas) entro il 16 febbraio 2023 perderà il diritto a mantenere il 110% se nel frattempo - si legge nel provvedimento - «non è stata sostenuta alcuna spesa, documentata da fattura, per lavori già effettuati». Uno schiaffo per migliaia di cittadini che pensavano di poter avviare le ristrutturazioni in futuro, o che semplicemente non hanno ancora versato l’acconto attraverso una fattura.
Emilia Romagna, Campania e Sicilia escluse
La mini deroga per utilizzare la cessione del credito e lo sconto in fattura nelle aree del terremoto fino alla fine del 2025 non basta a risolvere i problemi della ricostruzione. Il mezzo passo indietro del governo nei confronti di Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria (regioni tutte governate dal centrodestra) assicura ai Comuni di avvalersi dei bonus edilizi ma fino ai 400 milioni di euro di impatto sul bilancio pubblico, a fronte di 7,5 miliardi di euro di fondi che sarebbero necessari alla ricostruzione. Questi 400 milioni saranno così ripartiti: 70 milioni andranno al terremoto dell'Aquila del 2009 e 330 milioni a tutti i Comuni del cratere del terremoto 2016 dell’Italia centrale.
Restano fuori l’Emilia Romagna (colpita dal sisma del 2012), la Campania con il terremoto di Ischia (2017) e la Sicilia con quello della zona etnea di Catania (era il 2018). Le prime due regioni sono amministrate dal centrosinistra, la terza dal centrodestra a guida Forza Italia. Chi invece ha strappato la deroga sono tre presidenti di regione di Fratelli d’Italia (Marco Marsilio, Francesco Acquaroli, Francesco Rocca) e uno della Lega (Donatella Tesei in Umbria).
Niente Superbonus per Terzo settore e case popolari
La stretta del governo sul Superbonus al 110% va a colpire soprattutto il Terzo settore, le case popolari, le residenze sanitarie; categorie che pensavano di poter beneficiare del maxi incentivo fino alla fine del 2025. La possibilità di cedere il bonus barriere architettoniche del 75% destinato ai disabili, che era già stato limitato, diventa ancora più difficile a causa di tutti i paletti inseriti nel decreto.