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SANREMO. Nell'oversize nero integrale Gianmarco Tamberi sta ancora a metà tra palco e realtà, tra Sanremo e una stagione che non ha ancora una data di inizio, ma ha una destinazione: Los Angeles 2028, un'altra Olimpiade da preparare però in modo totalmente diverso. Fin da subito, fin dal teatro Ariston dove si è esibito con Jovanotti in una performance sul corpo, quel corpo a cui adesso vuole dare tregua.
Jovanotti è tornato ad esibirsi dopo una lunga riabilitazione. Lei vuole tornare a gareggiare dopo aver messo il suo fisico a dura prova. Avete scambiato delle idee?
«Da tempo lo facciamo, Jova è un'icona e un esempio, entrambi sappiamo a memoria la lezione: provarci, riprovarci, cadere e rialzarsi. Ho incontrato Jovanotti nello studio del fisioterapista che condividevamo, abbiamo fatto subito discorsi da reduci in un confronto che poi abbiamo portato anche a Sanremo. In questo anno ci siamo spesso supportati e risollevati a vicenda».
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Vi somigliate?
«No e viviamo in mondi diversissimi ma entrambi ci consumiamo per alzare sempre l'asticella. Lui migliora a ogni esibizione, io imparo a ogni competizioni. Ho scoperto che l'approccio è lo stesso».
Quando le è stato chiaro che avrebbe continuato con l'atletica?
«Dopo i Giochi ho avuto un momento di rigetto. Ho detto a mia moglie Chiara: basta, non ne posso più. Ho continuato la stagione, mi sono forzato a rispettare gli impegni, poi mi sono ritrovato al Golden Gala, con la mia curva e non sono riuscito a vincere. Non avevo voglia nemmeno di riguardare i tentativi a video. Ero vuoto».
Poi?
«Cambiavo idea ogni giorni. Pensavo di chiudere e mi svegliavo con l'intenzione di ricominciare. Guardavo Chiara, sempre fondamentale nelle decisioni e lei mi restituiva la sensazione che smettere adesso non avrebbe reso giustizia ai nostri sacrifici. Come famiglia abbiamo sempre messo lo sport al primo posto e andarcene insoddisfatti... sapeva un po' di resa. Un controsenso. Ora non so se starà sempre, di continuo, al primo posto».
I momenti più complicati ?
«I tanti mesi difficili in cui non avevo il coraggio di mettermi in gioco. Dopo la botta ci si sente smarriti. Ho avuto paura di pensarci per davvero. Nel frattempo, iniziavo a lavorare per rimettere in sesto il mio fisico: inconsciamente, dentro, avevo già definito la strada. Non sarà la stessa percorsa, soprattutto adesso. Alla mia età serve un metodo conservativo".
Sicuro? Lei ha corteggiato l'estremo fino a qui.
«Mi sono spremuto, dato fino all'ultimo. Ha funzionato. Lo rifarei, forse a Parigi sarebbe bastato un po' meno. Adesso voglio risolvere tutti i piccoli problemi che ho ignorato e silenziato per essere al meglio nel momento in cui contava. Basta saltare con gli antidolorifici e le infiltrazioni».