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Tarantelli, i nostri valori e il caso Balzerani

8 mesi fa 7
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“Cerco di colpire la punta del naso del mio avversario perché voglio ficcargli l’osso nel cervello”– Mike Tyson

“La violenza è l’ultimo rifugio dell’incompetente” – Isaac Asimov

Barbara Balzerani e il caso Di Cesare, per arrivare a Jorit e all’aggressione a David Parenzo alla Sapienza, senza dimenticare Giorgia Meloni e la sua evocazione degli anni bui davanti ai sindacati di polizia. Provo a rimettere in ordine le cose che mi hanno colpito in questa settimana tanto surreale quanto preoccupante, destinata a chiudersi con l’incerto voto in Abruzzo (per il quale vi rimando alle analisi di Giovanni Orsina e Federico Geremicca) e a dare un’altra spallata al pericolante castello dei nostri valori condivisi. Esistono ancora o sta vincendo il caos, il tutti contro tutti, l’Occidente contro l’Oriente, gli americanisti contro i filo-putiniani, i pro-pal contro gli israeliani o, peggio, contro gli ebrei tout court?

Ogni volta che ripenso al terrorismo, a quegli anni che speravo sepolti, archiviati, elaborati, e che invece tornano a insinuarsi nel dibattito pubblico con una frequenza sempre più fastidiosa, mi precipita nella testa la frase scomposta di Mike Tyson. È ridicolo, lo so, me ne rendo conto.

Ma per me, bolognese-torinesizzato, ferito per sempre dalla strage nera del 2 agosto 1980 e istintivamente grato a uomini come Carlo Casalegno, vicedirettore de La Stampa, colpito alla testa dalle pallottole delle Brigate Rosse il 16 novembre del 1977, la Notte della Repubblica è esattamente quella roba lì, violenza senza senso, stupida, cieca, rabbiosa, usata da gente cretina, manipolata e manipolabile, decisa a demolire gli altri ficcandogli le ossa del naso nel cervello, senza che ci sia una sola ragione se non quella – più che velleitaria, ridicola – di radere al suolo un sistema, per sostituirlo con un altro peggiore, autoritario e imposto con la forza, comunista o fascista che sia. Un’ossessione omicida allo stato puro, che ha travolto un fiume di innocenti. Questo è stata per me anche Barbara Balzerani. L’incarnazione della cattiveria ebete.

Perciò, quando è esplosa la polemica dopo la sua morte, a causa di un tweet della professoressa Donatella Di Cesare («La tua rivoluzione è stata anche la mia, le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia, un addio alla compagna Luna»), sono andato a recuperare sulla scrivania un libro che avevo appena finito di leggere: «Sotto un sole metallico», l’intervista in cui Carole Beebe Tarantelli racconta la sua vita ad Alessandro Portelli. Mi viene più facile stare con le vittime (anche se confesso di trovare insensate le richieste specularmente punitive nei confronti di Di Cesare, ma, va da sé, il buonsenso perde sempre). Il libro me l’ha consigliato Annalisa Cuzzocrea e per un caso abbastanza sorprendente, me l’ha contemporaneamente regalato un ragazzo del liceo Alfieri di Torino, uno di quei diciannovenni che seppelliscono qualunque luogo comune sulla generazione del disimpegno. Chi ha avuto voglia di dare un’occhiata alle piazze dell’8 marzo forse capisce il mio punto di vista.

In ogni caso, Carole Beebe Tarantelli. La sua storia. Quella di suo marito Ezio, un fuoriclasse del pensiero laterale che volevano aiutare il Paese creando più lavoro e condizioni sociali uguali per tutti. Un allievo di Federico Caffè e di Franco Modigliani, Nobel dell’economia proprio nell’anno in cui Barbara Balzerani pensò che per costruire il futuro di tutti fosse necessario impedire a Tarantelli di averne uno suo. Uomo speciale lui, Ezio, donna straordinaria lei, Carole Jane, americana con passaporto italiano, impegnata nel sociale, parlamentare con Pci e Pds, femminista, insegnante universitaria, psicanalista e mamma di Luca, che, quando due scagnozzi della mai pentita “compagna Luna” scaricarono il mitra sul corpo di suo padre dopo una lezione alla Sapienza, aveva appena 13 anni. Quante esistenze si distruggono sopprimendone una? «Non ho più avuto indietro la mia vita. Tutto quello che avevo costruito sino a quel momento è stato spazzato via», dice Beebe Tarantelli, doppio cognome con 50 anni d’anticipo, ad Alessandro Portelli. Chiunque sia in grado di trascurare il peso di queste parole, per me non è umano.

Mi sono chiesto che effetto le avesse fatto il tweet di Di Cesare. L’ho chiamata. Una chiacchierata di mezzora, illuminante, che provo a riassumere per punti e in poche righe. Uno: non sapeva chi fosse Di Cesare, non ama la tv. Quelle parole però l’hanno scossa, così è andata a cercarla su Youtube. «Non mi è chiaro che cosa sostenga e mi stupisco che sia una filosofa, però mi è chiara la sua aggressività, una caratteristica piuttosto diffusa che mi ha spinta a non guardare più i talk show».

Due: la sua analisi degli anni del terrore non è troppo diversa da quella che, su queste colonne hanno fatto – ciascuno con la propria sensibilità – Giovanni De Luna, Rosy Bindi, Massimo Cacciari, Gianni Oliva e Giancarlo Caselli. Le Br erano parassiti (copyright Caselli) che si infilavano là dove c’erano dei conflitti, non per risolverli, per farli esplodere. Per questo «l’azione del terrorismo ha bloccato non solo il “riformismo” dei partiti della sinistra storica e del sindacato unitario, ma anche quei movimenti nella scuola e nelle fabbriche in polemica con questi ultimi ma assolutamente contrari alla linea della lotta armata». (Copyright Cacciari). Cosa aggiunge Beebe Tarantelli? «La loro non era la rivoluzione russa, o quella francese. Erano poche migliaia di persone, clandestini che, come ha riconosciuto Mario Moretti, esistevano solo quando ammazzavano qualcuno e andavano sui giornali. A questo Paese, attraversato in quegli anni da un fermento straordinario – basti pensare al divorzio, all’aborto, alla riforma del sistema psichiatrico - hanno fatto danni incalcolabili. Ecco, le Br hanno sparato su quel fermento».

Terzo punto, centrale, i valori. Che cosa succede se si smette di guardare il patetico spettacolino degli uomini con lo specchietto retrovisore e si analizzano i guai del presente? «Io credo che siamo in una fase in cui le forze che dominano il pianeta si stanno riallineando. L’ordine mondiale con cui abbiamo vissuto dalla fine della seconda guerra mondiale è saltato. Quello nuovo che si sta formando mi fa paura. Potrebbe emergere un legame tra dittatori. Se in America dovesse vincere Trump, allora il ribaltamento sarebbe completo».

Siamo su un asse inclinato, che ci sta precipitando in un altrove sconosciuto. Condivido il timore di Beebe Tarantelli, lo faccio mio. C’è qualcosa in cui crediamo tutti assieme, mentre Giorgia Meloni, dopo le manganellate a un gruppo di ragazzini a Pisa, evoca gli anni bui come se quegli studenti ingenui, coraggiosi e a mani alzate, fossero emuli delle Br o dei Nar? C’è ancora un collante comune se Jorit, ottimo street artist napoletano, mente fresca e talento evidente, si fa fotografare abbracciato a Putin per dimostrare quanto è umano l’assassino di Navalny?

Domanda, lo ammetto, tendenziosa, perché dà per scontata una cosa (l’omicidio per me indiscutibile di un avversario politico da parte dello Zar), che per Jorit non lo è affatto. Lui non ci crede alla crudeltà putiniana. Io sì. Siamo su barricate opposte e lo dico, credetemi, con profonda amarezza. Jorit ritiene (lo ha detto al nostro Niccolò Zancan, rispondendo alle domande malvolentieri, come un cavallo ai colpi di frusta) che l’Occidente si sia attribuito con arroganza un ruolo di giudice mondiale che non solo non gli spetta, ma che è dannoso, peggio, pericoloso. Se l’Occidente si impone, il mondo soffre. Processare Putin? «L’Aja dovrebbe processare Bush, Obama e Blair».

Non sto a dire chi ha ragione o torto. Il punto non è questo. Il punto è la frattura, la distanza, la contrapposizione che torna a esplodere, che si fa mostro divorante, che spappola le certezze. Perché uomini intelligenti dicono cose che a me, a tanti come me, paiono delle sconvolgenti enormità?

E qui rientra anche l’aggressione a David Parenzo, che si presenta alla Sapienza per un incontro pubblico e viene apostrofato da una ragazzina che gli grida: «Vattene di qui fascista ebreo». Ignoranza e innocenza sono due cose molto diverse, ma qualche volta hanno sul viso la stessa espressione. “Fascistaebreo”, come se fosse una parola sola. Come se fosse una frase accettabile. Persino necessaria. Le distanze diventano abissi, che ancora una volta si spalancano “Sotto un sole metallico”. Mi piacerebbe essere più ottimista di così. Oggi non riesco.

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