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Nell’America di Donald Trump non ci sarà bisogno di leggi per la protezione delle minoranze, o sulle pari opportunità. L’America che Trump ha promesso di costruire è «daltonica e basata sul merito». Non ci sarà più la X sul passaporto o sulla patente per chi non si identifichi con i due generi, perché «ci sono solo due generi: maschio e femmina». Anzi, possiamo aspettarci una vera e propria lotta contro quello che ha definito «il tentativo di ingegnerizzare socialmente la razza e il genere in ogni aspetto della vita pubblica e privata». Nel suo discorso nella Rotonda del Campidoglio, subito dopo il giuramento che lo confermava 47esimo presidente degli Stati Uniti, Trump ha spiegato come vorrebbe forgiare il Paese nei suoi quattro anni alla Casa Bianca. L’immagine che ci ha offerto ripropone un Paese precedente alle grandi lotte razziali e alle lotte per i diritti civili, ma comunque socialmente e razzialmente in pace con sé stessa, che rinnega la cultura woke e la politica del DEI, e i loro sforzi di promuovere la rappresentanza e la partecipazione di gruppi storicamente emarginati o sottorappresentati.
I DECRETI
Non è un caso che subito dopo, fra i primi decreti presidenziali che ha firmato ce ne sia stato uno che ordina alle agenzie federali di riconoscere solo due sessi, maschile e femminile, e uno che smantella i programmi di diversità, equità e inclusione. Programmi che secondo Trump non servono, perché a suo giudizio Martin Luther King, il predicatore e difensore dei diritti civili, di cui ieri si celebrava l’anniversario della nascita, avrebbe lui stesso approvato che si debba i scegliere i candidati sulla base del carattere e dell’abilità. L’America che dovrebbe scaturire dalla politica trumpiana sarà dunque ancorata a valori ben diversi da quelli dell’America di Biden, a una visione diciamo più tradizionalista, ma capace di affrontare le sfide contemporanee con lo stesso spirito pionieristico dei suoi antenati. Questa America daltonica e meritocratica dovrebbe ricreare l’eroismo dell’epoca della conquista del West e dell’età d’oro industriale, «Quando - ha detto nel suo discorso -, i nostri antenati americani hanno trasformato un piccolo gruppo di colonie ai margini di un vasto continente in una potente repubblica con i cittadini più straordinari della Terra». Un ritorno allo spirito con cui allora gli americani «hanno attraversato deserti, scalato montagne, sfidato pericoli incalcolabili, conquistato il selvaggio West, posto fine alla schiavitù, salvato milioni di persone dalla tirannia, sollevato miliardi di persone dalla povertà, imbrigliato l'elettricità, diviso l'atomo, lanciato l'umanità nei cieli e messo l'universo della conoscenza umana nel palmo della mano». Come allora, oggi, Trump sogna di realizzare «la promessa dell'America» e «ricostruire la Nazione che amiamo e che ci piace tanto». Nel discorso tante sono state le proposte e le promesse - abolire la censura, finire l’inflazione, finire le guerre, chiudere il confine all’immigrazione illegale, deportare i migranti irregolari, esplorare lo spazio e colonizzare Marte - ma per ricostruire l'America industriosa ed eroica del passato, il nuovo presidente ha promesso di riportarla a essere «una nazione industriale, con il ritorno della manifattura». Una missione che a suo giudizio verrà resa possibile perché «abbiamo qualcosa che nessun’altra nazione manifatturiera potrà mai avere, la più grande quantità di petrolio e gas di qualsiasi altro Paese sulla Terra e la useremo». Con lui, ha assicurato, gli americani potranno tornare a «comprare le auto che vorranno» come all’epoca dei fasti di Detroit, prima dei controlli ambientali.
COME ALLA FINE DELL’800
Sembra che Trump abbia preso come ideale l’America tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e infatti è significativo che fra i decreti firmati ce ne sia uno per cancellare il nome indigeno della più alta montagna dell’Alaska, Mount Dinali, e riportarla al nome che le avevano dato i pionieri europei, Mount McKinley, dal presidente evidentemente più ammira per essere stato un convinto sostenitore del protezionismo economico (aveva utilizzato le tariffe per proteggere le industrie americane dalla competizione straniera), per aver allargato il territorio americano conquistando Porto Rico, Guam e le Filippine, e per aver avviato i negoziati per la costruzione del Canale di Panama.
Che si sia d’accordo o no con le sue proposte, nessuno può negare che il programma presidenziale di Trump sia audace. Ma anche lui come tutti gli altri presidenti dovrà fare i conti con un Congresso litigioso e diviso, e soprattutto con i tribunali. Trump ha inaugurato la sua prima giornata firmando decine di executive orders, cioè direttive che non hanno bisogno di approvazione del Congresso purché operino all’interno di leggi già esistenti. Alcuni però sappiamo già da ora che non potranno essere realizzati: l’ordine ad esempio di abolire il diritto di cittadinanza per chi nasca negli Usa cozza contro il 14esimo Emendamento della Costituzione, e nessun decreto di un presidente può cambiare il dettato costituzionale.