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Un po’ strategia diplomatica e un po’ scelta politica. Ma soprattutto una decisione dettata dalla Costituzione e dal nostro quadro legislativo, che oggi «non consente di fare altro». Caduto anche il muro di Berlino sull’utilizzo in territorio russo delle armi inviate a Kiev dagli alleati occidentali, il niet italiano allontana un po’ Roma dal corpaccione maggioritario della Nato. Per la prima volta da molto tempo, e per di più mentre Giorgia Meloni indossa i galloni di presidente del G7, l’Italia si discosta da Usa, Regno Unito, Francia e Germania, allineandosi a Spagna, Belgio, Slovacchia, Bulgaria e Ungheria. Non per una frattura vera e propria però, ma solo per «una differenza di vedute» - spiegano fonti autorevoli del governo - dettata in primo luogo dalla «convinzione» che l’Ucraina e l’intera Europa possano avere «più da perdere che da guadagnare» da una mossa di questo tipo. Oltre che, e non è certamente un dettaglio, dall’articolo 11 della Costituzione e dalle leggi con cui di anno in anno si è autorizzato l’invio delle armi a Kiev.
La Costituzione
Un punto, questo, su cui ha battuto molto ieri il ministro della Difesa Guido Crosetto. «La Costituzione ci dice due cose precise - ha spiegato al 53esimo Convegno Nazionale dei Giovani Imprenditori Confindustria, in corso a Rapallo - che l'Italia ripudia la guerra e che partecipiamo alle alleanze storiche in cui crediamo. Noi forniamo aiuti, anche militari, a una nazione aggredita, per difendersi e riconquistare la sua sovranità violata». Vale a dire che, qualora si inserissero armi offensive all’interno del prossimo pacchetto di aiuti, lo si farebbe in aperta violazione della legge quadro. Quella redatta per la prima volta dal governo di Mario Draghi nel 2022 e prorogata in copia carbone dall’esecutivo attuale, l’ultima volta a febbraio scorso. Per allinearsi alla Nato quindi, bisognerebbe rivedere quel testo, sottoponendolo nuovamente al vaglio parlamentare. E, di conseguenza, al rischio di nuovi scossoni dopo che a gennaio, al Senato, un ordine del giorno leghista aveva dato il là ad uno “strano” asse tra il Carroccio e il Movimento 5 stelle.
Una patata bollente che il governo non ha quindi alcuna intenzione di affrontare in questo momento, ad una settimana dall’apertura delle urne per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno. Né, a dire il vero, fino a quando non diventi fisiologicamente necessario. Cioè quando bisognerà ragionare su una nuova dilazione temporale dell’autorizzazione che copra l’intero 2025.
Tant’è che, anche al fine di prevenire eventuali scossoni da parte di chi all’interno dell’esecutivo è meno perentorio sul sostegno a Kiev e potrebbe marciare sui distinguo, il secco rifiuto all’estensione degli armamenti è stato già rimarcato con forza sia dalla premier che dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. «Non dimentichiamo che oggi c'è una recrudescenza da parte della Russia nel colpire direttamente la popolazione civile - aveva spiegato Meloni nei giorni scorsi - Il dibattito nasce dal fatto che ci si interroga se colpire zone» in Russia «da dove vengono quegli attacchi» all'Ucraina. «Credo non sia necessario, è meglio rafforzare la capacità di dotare l'Ucraina di sistemi efficaci di difesa anti-area, un lavoro fatto anche dall'Italia con i Samp-T per esempio, senza rischiare un'escalation fuori controllo».
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Gli aiuti
Assolutamente in linea Tajani che, alla ministeriale Nato appena terminata a Praga, ha ribadito la «posizione molto chiara» del governo: «L'Italia aiuta e aiuterà l'Ucraina a difendere la propria indipendenza, continueremo ad aiutarla da un punto di vista finanziario e con strumenti militari. È chiaro che non invieremo alcun soldato italiano a combattere in Ucraina e le nostre armi non potranno essere usate fuori dal territorio ucraino, lo impedisce l'articolo 11 della Costituzione. Noi non siamo in guerra con la Russia».
Ed è per questo che l’Italia, consapevole di avere in qualche modo qualcosa da dimostrare, è pronta ad accelerare sul nuovo pacchetto di armi da inviare a Kiev. Per di più dotandolo con una fornitura di Samp-T che, ambienti vicini ai vertici della Difesa nostrana, definiscono «quasi superiore» rispetto a quanto fatto finora.